Primo Concilio di Costantinopoli |
Primo Concilio di
Costantinopoli
Dal I maggio al luglio 381. IL SIMBOLO DEI CENTOCINQUANTA PADRI
Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della
terra, di tutte le cose visibili e di quelle invisibili: e in un solo signore
Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i
secoli, luce da luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato, della stessa
sostanza del Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. Per noi
uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, prese carne dallo
Spirito Santo e da Maria vergine, e divenne uomo. Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, fu sepolto e risuscitò il terzo giorno
secondo le Scritture, salì al cielo, si sedette alla destra del Padre: verrà
nuovamente nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà
fine. Crediamo anche nello Spirito Santo, che è signore e dà vita, che procede
dal Padre; che col Padre e col Figlio deve essere adorato e glorificato, ed ha
parlato per mezzo dei Profeti. Crediamo la Chiesa una, santa, cattolica e
apostolica. Crediamo un solo battesimo per la remissione dei peccati e
aspettiamo la resurrezione dei morti, e la vita del secolo futuro. Amen.
LETTERA DEI VESCOVI RADUNATI A COSTANTINOPOLI A PAPA DAMASO E AI VESCOVI
OCCIDENTALI (382)
Ai signori illustrissimi e reverendissirni fratelli e colleghi Damaso, Ambrogio, Brittone, Valeriano, Acolio, Anemio, Basilio, e agli altri santi vescovi raccolti nella
grande Roma, il santo sinodo dei vescovi che professano la vera fede, riuniti
nella grande Costantinopoli, salute nel Signore.
E’ forse superfluo informare la Reverenza vostra, quasi che possa esserne
all'oscuro, e narrare le innumerevoli sofferenze inflitteci dalla prepotenza
ariana. Non crediamo, infatti, che la santità vostra giudichi così poco
importante quanto ci riguarda, da esserne ancora all'oscuro, metterebbe anzi
conto che se ne piangesse insieme. D'altra parte, le tempeste che si sono
abbattute su di noi sono state tali, che non hanno certo potuto rimanervi
nascoste; il tempo delle persecuzioni è recente, ne è ancora vivo il ricordo
non solo in coloro che hanno sofferto, ma anche in chi per l'amore che li
legava ad essi ha fatto proprie le loro sofferenze. Infatti solo ieri, per così
dire, e l'altro ieri, alcuni sciolti dai vincoli dell'esilio, sono tornati alle
loro chiese in mezzo a mille tribolazioni; di altri, morti in esilio, sono
tornati solo i resti: alcuni, anche dopo il ritorno dall'esilio, fatti segno
all'odio acre degli eretici, dovettero sopportare più amarezze nella propria
terra che in terra straniera, raggiunti, come il beato Stefano, dalle loro
pietre (1); altri lacerati da vari supplizi, portano ancora le stigmate di
Cristo (2) e le ferite nel proprio corpo. Le perdite di ricchezze, le multe
delle città, le confische dei beni dei singoli, gli intrighi, le prepotenze, le
carceri, chi potrebbe contarle? Davvero che tutte le tribolazioni si sono
moltiplicate contro di noi oltre ogni dire, forse perché scontassimo la pena
dei nostri peccati, o forse perché Dio, clemente, voleva provarci con tante
sofferenze.
Di ciò siano rese grazie a Dio, il quale volle istruire i suoi servi
attraverso prove così grandi (3), e secondo la sua grande misericordia ci ha
condotto nuovamente al refrigerio (4). Certo sarebbe stato necessario per noi
una lunga pace, e molto tempo, e molto lavoro per il miglioramento delle
chiese, perché, cioè, finalmente potessimo ricondurre all'originario splendore
della pietà il corpo della chiesa, oppresso come da lunga malattia, ricreandolo
a poco a poco con ogni sorta di cure. In questo modo riteniamo di esserci
liberati dalla violenza delle persecuzioni, e di aver ripristinato le chiese
così a lungo dominate dagli eretici; dei lupi, tuttavia, ci danno molta
molestia: scacciati dai loro recinti, rapiscono le pecore negli stessi pascoli
boscosi, e tentano di tenere riunioni, e di suscitare sommosse popolari, senza
nulla risparmiare pur di arrecare danno alle chiese. Come dicevamo, sarebbe
stato necessario che potessimo occuparci di questi problemi per un tempo più
lungo.
In ogni modo, poiché, mostrando la vostra fraterna carità verso di noi, con
lettere dell'imperatore, da Dio amato, avete invitato anche noi come veri
membri al sinodo che per volontà di Dio avete convocato a Roma perché, essendo
stati noi sottoposti allora da soli alle tribolazioni, ora in questa pia
concordia degli Imperatori voi non regnaste senza di noi, ma anche noi, secondo
la parola dell'apostolo, potessimo regnare insieme con voi (5), sarebbe stato
nostro desiderio, se possibile, lasciare tutti insieme le nostre chiese, e
venire incontro ai vostri desideri e alla (comune) utilità. Chi ci darà,
infatti, le ali come quelle di una colomba per volare e posarci presso di voi
(6)? Ma poiché questo avrebbe spogliato le nostre chiese, appena cominciato il
rinnovamento, e la cosa sarebbe stata per moltissimi impossibile, ci eravamo
radunati insieme a Costantinopoli, secondo l'invito delle lettere, mandate
l'anno scorso dalla vostra carità, dopo il sinodo di Aquileia,
all'imperatore Teodosio, caro a Dio. Eravamo preparati per questo solo viaggio
fino a Costantinopoli, ed avevamo il consenso dei vescovi rimasti nelle diocesi
solo per questo sinodo. Di un più lungo viaggio né prevedevamo la necessità, né
avevamo avuto alcun indizio prima di venire a Costantinopoli. Inoltre
l'imminenza della data fissata non lascia il tempo di prepararsi per una
assenza più lunga, né di avvertire i vescovi della nostra stessa comunione
rimasti nelle diocesi, e di chiedere il loro benestare. Poiché, dunque, questi
ed altri simili motivi impedivano la partenza della maggior parte di noi,
abbiamo preso l'unico partito che restava per il miglioramento delle cose e per
corrispondere alla carità che ci avete dimostrato: e abbiamo pregato istantemente i venerabilissimi e
onorabilissimi fratelli e colleghi nostri, i vescovi Ciriaco, Eusebio e Prisciano di affrontare la fatica di venir fino a voi; e
così, per mezzo loro, vi abbiamo fatto conoscere i nostri propositi di pace e
di unità, e vi abbiamo manifestato il nostro zelo per la retta fede. Noi,
infatti, abbiamo sopportato da parte degli eretici le persecuzioni, le
tribolazioni, le minacce degli imperatori, le crudeltà dei magistrati e ogni
altra prova, per la fede evangelica confermata dai trecentodiciotto Padri di Nicea di Bitinia. Questa fede,
infatti, dev'essere approvata da voi, da noi e da
quanti non distorcono il senso della vera fede essendo essa antichissima e
conforme al battesimo; essa ci insegna a credere nel nome del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo, cioè in una sola divinità, potenza, sostanza del Padre,
del Figlio e dello Spirito Santo, in una uguale dignità, e in un potere
coeterno, in tre perfettissime ipostasi, cioè in tre
perfette persone, ossia tali, che non abbia luogo in esse né la follia di Sabellio con la confusione delle persone, con la
soppressione delle proprietà personali, né prevalga la bestemmia degli Eunomiani, degli Ariani, dei Pneumatomachi,
per cui, divisa la sostanza, o la natura, o la divinità, si aggiunga
all'increata, consostanziale e coeterna Trinità una
natura posteriore, creata, o di diversa sostanza. Riteniamo anche, intatta, la
dottrina dell'incarnazione del Signore; non accettiamo, cioè l'assunzione di
una carne senz'anima, senza intelligenza, imperfetta, ben sapendo che il verbo
di Dio, perfetto prima dei secoli, è divenuto perfetto uomo negli ultimi tempi
per la nostra salvezza.
Queste sono, in sintesi, le principali verità della fede, che senza ambagi
predichiamo. Esse vi procureranno anche una maggior soddisfazione, se vi
degnerete di leggere il tomo composto dal sinodo di Antiochia,
e quello pubblicato dal concilio ecumenico, a Costantinopoli, lo scorso anno.
In essi abbiamo esposto la nostra fede assai ampiamente, ed abbiamo sottoscritto
i nostri anatemi contro le recenti novità delle eresie.
Quanto all'amministrazione delle singole chiese ha forza di legge l'antica
norma, come sapete, e la disposizione dei santi padri di Nicea:
che, cioè, in ciascuna provincia, e, se essi vorranno anche i vescovi
confinanti con loro, si facciano le ordinazioni come richiede l'utilità delle
chiese. Sappiate che, conforme a queste disposizioni, vengono amministrate le
nostre chiese, e sono stati nominati i sacerdoti delle chiese più insigni. Della
chiesa novella, per cosi dire, di Costantinopoli, che da poco, per misericordia
di Dio, abbiamo strappato alle bestemmie degli eretici, come dalla bocca di un
leone (7), abbiamo ordinato vescovo il reverendissimo e amabilissimo in Dio
Nettario. Ciò è stato fatto al cospetto del concilio universale, col consenso
di tutti, sotto gli occhi dell'imperatore Teodosio, carissimo a Dio, di tutto
il clero, e con l'approvazione di tutta la città. Dell'antica e veramente
apostolica chiesa di Antiochia di Siria, nella quale
per prima fu usato il venerando nome di cristiani, i vescovi della provincia e
della diocesi dell'oriente, radunatisi, consacrarono vescovo, canonicamente, il
reverendissimo e da Dio amatissimo Flaviano, con
l'approvazione di tutta la chiesa, che, unanime onorava quest'uomo.
L'ordinazione è stata riconosciuta conforme alla legge ecclesiastica anche
dalle autorità del concilio. Vi informiamo, inoltre, che il reverendissimo e
carissimo a Dio Cirillo è vescovo della madre di tutte le chiese, la chiesa di
Gerusalemme. A suo tempo egli è stato consacrato, conforme alle norme
ecclesiastiche, dai vescovi della provincia, e spesso, in diverse circostanze,
ha lottato strenuamente contro gli Ariani.
Poiché, dunque, queste cose sono state compiute da noi legalmente e
canonicamente, preghiamo la reverenza vostra di volersi rallegrare con noi,
uniti scambievolmente dal vincolo dell'amore che viene dallo Spirito e dal
timore di Dio che vince ogni umana passione, e antepone l'edificazione delle
chiese all'amicizia ed alla benevolenza verso i singoli. In tal modo, in pieno
accordo nelle verità della fede, e fortificata in noi la carità cristiana,
cesseremo di ripetere l'espressione già biasimata dagli apostoli: Io sono di
Paolo, io sono di Apollo; e io sono di Cefa (8),
ma saremo tutti di Cristo, che non può esser diviso in noi; e, se Dio ce ne
farà degni, conserveremo indiviso il corpo della chiesa e compariremo
tranquilli dinanzi al tribunale di Dio (9).
CANONI
I. Che le decisioni di Nicea restino immutate;
della scomunica degli eretici.
La professione di fede dei trecentodiciotto santi Padri, raccolti a Nicea di Bitinia non deve essere
abrogata, ma deve rimanere salda; si deve anatematizzare ogni eresia,
specialmente quella degli Eunomiani o Anomei, degli Ariani o Eudossiani,
dei Serniariani e Pneumatomachi,
dei Sabelliani, dei Marcelliani, dei Fotiniani e degli Apollinaristi.
II. Del buon ordinamento delle diocesi, e dei privilegi dovuti alle grandi
città dell'Egitto, di Antiochia, di Costantinopoli; e
del non dover un vescovo metter piede nella chiesa di un altro.
I vescovi preposti ad una diocesi non si occupino delle chiese che sono
fuori dei confini loro assegnati né le gettino nel disordine; ma, conforme ai
canoni, il vescovo di Alessandria amministri solo ciò che riguarda l'Egitto, i
vescovi dell'Oriente, solo l'oriente, salvi i privilegi della chiesa di Antiochia, contenuti nei canoni di Nicea;
i vescovi della diocesi dell'Asia, amministrino solo l'Asia, quelli del Ponto, solo il Ponto, e quelli
della Tracia, la Tracia.
A meno che vengano chiamati, i vescovi non si rechino oltre i confini della
propria diocesi, per qualche ordinazione e per qualche altro atto del loro
ministero. Secondo le norme relative all'amministrazione delle diocesi, è
chiaro che questioni riguardanti una provincia dovrà regolarle il sinodo della
stessa provincia, secondo le direttive di Nicea.
Quanto poi alle chiese di Dio fondate nelle regioni dei barbari, sarà bene che
vengano governate secondo le consuetudini introdotte ai tempi dei nostri padri.
III. Che dopo il vescovo di Roma, sia secondo quello di Costantinopoli.
Il vescovo di Costantinopoli avrà il primato d'onore dopo il vescovo di
Roma, perché tale città è la nuova Roma.
IV. Della illecita ordinazione di Massimo.
Quanto a Massimo il Cinico e ai disordini avvenuti a Costantinopoli per
causa sua intorno a lui, questo grande sinodo giudica che Massimo non è mai
stato né è vescovo, e non lo sono quelli che egli ha ordinato in qualsiasi
grado del clero: tutto quello, infatti, che è stato compiuto a suo riguardo o
da lui è da considerarsi nullo.
V. Il tomo degli Occidentali è bene accetto.
Per quanto riguarda il tomo (=documento) degli
Occidentali, anche noi riconosciamo quelli di Antiochia che professano la medesima divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo.
VI. Chi può essere ammesso ad accusare un vescovo o un chierico.
Poiché molti volendo turbare e sconvolgere l'ordine ecclesiastico, da veri
nemici e sicofanti, inventano accuse contro i vescovi ortodossi incaricati del
governo della Chiesa, nient'altro cercando che di contaminare la buona fama dei
sacerdoti e di eccitare tumulti tra i popoli che vivono in pace, è sembrato
bene al santo concilio dei vescovi radunati a Costantinopoli di non ammettere
gli accusatori senza previo esame, né di permettere a chiunque di poter
formulare accuse contro gli amministratori delle diocesi, né, d'altra parte, di
respingere tutti. Se, quindi, uno ha dei motivi privati, personali, contro il
vescovo, perché sia stato defraudato, o perché abbia dovuto sopportare da parte
sua qualche altra ingiustizia, in questo genere di accuse non si guardi né alla
persona dell'accusatore, né alla sua religione. E’ necessario, infatti,
assolutamente, che la coscienza del vescovo si conservi libera dalla colpa e
che quegli che afferma di essere trattato ingiustamente, quali che possano
essere i suoi sentimenti religiosi, ottenga giustizia. Se, però, l'accusa che
si fa al vescovo ha attinenza con la religione in sé e per sé, allora bisogna
tener conto della persona degli accusatori. In questo caso, primo, non si
permetta agli eretici di formulare accuse contro i vescovi ortodossi in cose
riguardanti la chiesa (per eretici intendiamo sia quelli che già da tempo sono
stati pubblicamente banditi dalla Chiesa, sia quelli che poi noi stessi abbiamo
condannato; sia quelli che mostrano di professare una fede autentica, ma in
realtà sono separati e si riuniscono contro i vescovi legittimi). Inoltre,
quelli che sono stati condannati, scacciati o scomunicati per vari motivi dalla
Chiesa, sia chierici che laici, non possono accusare un vescovo, prima di
essersi lavati della loro colpa. Analogamente non possono accusare un vescovo o
altri chierici, coloro che siano sotto una precedente accusa, se prima non
abbiano dimostrato di essere innocenti delle colpe loro imputate. Se, però, vi
è chi senza essere eretico, né scomunicato, né condannato o accusato di alcun
delitto, ha delle accuse in cose di chiesa contro il vescovo, questo santo
sinodo comanda che questi presenti la sua accusa ai vescovi della provincia e
dimostri davanti a loro la fondatezza delle accuse. Se poi i vescovi della
provincia non sono in grado di correggere le mancanze di cui viene accusato il
vescovo, allora gli accusatori possono adire anche il più vasto sinodo dei
vescovi di quella diocesi (cioè il sinodo patriarcale), che saranno convocati
proprio per questo. Non può però, essere ammesso a provare l'accusa, chi non
abbia prima accettato per iscritto di subire una pena uguale a quella che
toccherebbe al vescovo se nell'esame della causa si constatasse che le accuse
contro il vescovo erano calunnie. Se qualcuno, disprezzando ciò che è stato
decretato, osasse importunare l'imperatore, o disturbare i tribunali civili, o
il concilio ecumenico, con disprezzo di tutti i vescovi della diocesi, la sua
accusa non deve essere ammessa, perché egli ha disprezzato i canoni, ed ha
tentato di sconvolgere l'ordine ecclesiastico.
VII. Come bisogna accogliere coloro che si avvicinano all'ortodossia.
Coloro che dall'eresia passano alla retta fede nel novero dei salvati,
devono essere ammessi come segue: gli Ariani, i Macedoniani,
i Sabaziani, i Novaziani,
quelli che si definiscono i Puri (Catari), i Sinistri, i Quattuordecimani o Tetraditi e gli Apollinaristi,
con l'abiura scritta di ogni eresia, che non s'accorda con la santa chiesa di
Dio, cattolica e apostolica. Essi siano segnati, ossia unti, col sacro crisma,
sulla fronte, sugli occhi, sulle narici, sulla bocca, sulle orecchie e
segnandoli, diciamo: Segno del dono dello Spirito Santo. Gli Eunomiani, battezzati con una sola immersione, i
Montanisti, qui detti Frigi, i Sabelliani, che insegnano l'identità del Padre
col Figlio e fanno altre cose gravi, e tutti gli altri eretici (qui ve ne sono
molti, specie quelli che vengono dalle parti dei Galati);
tutti quelli, dunque, che dall'eresia vogliono passare alla ortodossia, li
riceviamo come dei gentili. E il primo giorno li facciamo cristiani, il
secondo, catecumeni; poi il terzo, li esorcizziamo, soffiando per tre volte ad
essi sul volto e nelle orecchie. E così li istruiamo, e facciamo che passino il
loro tempo nella chiesa, e che ascoltino le Scritture; e allora li battezziamo.
Note
(1) Cfr. At 7, 53
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