Primo Concilio di Nicea
Dal 19 giugno al 25 luglio (?) 325. PROFESSIONE DI FEDE DEI 318 PADRI
Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose
visibili ed invisibili. Ed in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio,
generato, unigenito, dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce
da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del
Padre [secondo i Greci: consustanziale], mediante il quale sono state fatte
tutte le cose, sia quelle che sono in cielo, che quelle che sono sulla terra.
Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, si è incarnato,
si è fatto uomo, ha sofferto e risorse il terzo giorno, salì nei cieli, verrà
per giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito Santo.
Ma quelli che dicono: Vi fu un tempo in cui egli non esisteva; e: prima che
nascesse non era; e che non nacque da ciò che esisteva, o da un’altra ipostasi
o sostanza che il Padre, o che affermano che il Figlio di Dio possa cambiare o
mutare, questi la chiesa cattolica e apostolica li condanna.
CANONI
I. Di quelli che si mutilano o permettono questo da parte di altri su se
stessi.
Se qualcuno, malato, ha subito dai medici un’operazione chirurgica, o è
stato mutilato dai barbari, può far parte ancora del clero. Ma se qualcuno, pur
essendo sano, si è castrato da sé, costui, appartenendo al clero, sia sospeso,
e in seguito nessuno che si trovi in tali condizioni sia promosso allo stato
ecclesiastico. E’ evidente, che quello che è stato detto riguarda coloro che
deliberatamente compiono una cosa simile e osano mutilare se stessi ma se
qualcuno, fosse stato castrato dai barbari o dai propri padroni, ma fosse degno
sotto ogni aspetto, i canoni lo ammettono nel clero.
II. A coloro che dopo il battesimo sono subito ammessi nel clero.
Poiché molte cose per necessità, o sotto la pressione di qualcuno, sono
state fatte contro le disposizioni ecclesiastiche, sicché degli uomini, venuti
da poco alla fede dal paganesimo e istruiti in breve tempo, sono stati subito
ammessi al battesimo e insieme sono stati promossi all'episcopato o al
sacerdozio, è sembrato bene che in futuro non si verifichi nulla di simile: è
necessario del tempo, infatti, a chi viene catechizzato, ed una prova più lunga
dopo il battesimo. E’ chiara infatti, la parola dell'apostolo: (il vescovo)
non sia un neofita, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere
nella stessa condanna (1).
Se poi col passar del tempo si venisse a scoprire qualche colpa commessa da
costui e fosse accusato da due o tre testimoni, questi cesserà di far parte del
clero. Chi poi osasse agire contro queste disposizioni e si ergesse contro
questo grande sinodo, costui metterebbe in pericolo la sua stessa dignità
sacerdotale.
III. Delle donne che vivono nascostamente con i chierici.
Questo grande sinodo proibisce assolutamente ai vescovi, ai sacerdoti, ai
diaconi e in genere a qualsiasi membro del clero di tenere delle donne di
nascosto, a meno che non tratti della propria madre, di una sorella, di una
zia, o di persone che siano al di sopra di ogni sospetto.
IV. Da quanti debba essere consacrato un vescovo.
Si abbia la massima cura che un vescovo sia istituito da tutti i vescovi
della provincia. Ma se ciò fosse difficile o per sopravvenute difficoltà, o per
la distanza, almeno tre, radunandosi nello stesso luogo, e non senza aver avuto
prima per iscritto il consenso degli assenti, celebrino la consacrazione. La
conferma di quanto è stato compiuto è riservata in ciascuna provincia al
vescovo metropolita.
V. Degli scomunicati: che non siano accolti da altri; e dell'obbligo di
tenere i sinodi due volte all'anno.
Quanto agli scomunicati, sia ecclesiastici che laici, la sentenza dei
vescovi di ciascuna provincia abbia forza di legge e sia rispettata la norma
secondo la quale chi è stato cacciato da alcuni non sia accolto da altri. E’
necessario tuttavia assicurarsi che questi non siano stati allontanati dalla
comunità solo per grettezza d'animo o per rivalità del vescovo o per altro
sentimento di odio.
Perché poi questo punto abbia la dovuta considerazione, è sembrato bene che
in ogni provincia, due volte all'anno si tengano dei sinodi, affinché tutti i
vescovi della stessa provincia riuniti al medesimo scopo discutano questi
problemi, e così sia chiaro a tutti i vescovi che quelli che hanno mancato in
modo evidente contro il proprio vescovo sono stati opportunamente scomunicati,
fino a che l'assemblea dei vescovi non ritenga di mostrare verso costoro una
più umana comprensione. I sinodi siano celebrati uno prima della Quaresima
perché, superato ogni dissenso, possa esser offerto a Dio un dono purissimo;
l'altro in autunno.
VI. Della precedenza di alcune sedi, dell'impossibilità di essere ordinato
vescovo senza il consenso del metropolita.
In Egitto, nella Libia e nella Pentapoli siano mantenute le antiche
consuetudini per cui il vescovo di Alessandria abbia autorità su tutte queste
province; anche al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità.
Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano
conservati alle chiese gli antichi privilegi. Inoltre sia chiaro che, se
qualcuno è fatto vescovo senza il consenso del metropolita, questo grande
sinodo stabilisce che costui non debba esser vescovo. Qualora poi due o tre,
per questioni loro personali, dissentano dal voto ben meditato e conforme alle
norme ecclesiastiche degli altri, prevalga l'opinione della maggioranza.
VII. Del vescovo di Gerusalemme.
Poiché è invalsa la consuetudine e l'antica tradizione che il vescovo di
Gerusalemme riceva particolare onore, abbia quanto questo onore comporta, salva
sempre la dignità propria della metropoli.
VIII. Dei cosiddetti càtari.
Quanto a quelli che si definiscono càtari, cioè
puri, qualora si accostino alla chiesa cattolica e apostolica, questo santo e
grande concilio stabilisce che, ricevuta l'imposizione delle mani, rimangano
senz'altro nel clero. E’ necessario però, prima di ogni altra cosa, che essi
dichiarino apertamente, per iscritto, di accettare e seguire gli insegnamenti
della chiesa cattolica, che cioè essi comunicheranno con chi si è sposato per
la seconda volta e con chi è venuto meno durante la persecuzione, per i quali
sono stabiliti il tempo e le circostanze della penitenza, così da seguire in
ogni cosa le decisioni della chiesa cattolica e apostolica. Quando, sia nei
villaggi che nelle città, non si trovino che ecclesiastici di questo gruppo
essi rimangano nello stesso stato. Se però qualcuno di essi si avvicina alla
chiesa cattolica dove già vi è un vescovo o un presbitero, è chiaro che il
vescovo della chiesa avrà dignità di vescovo e colui che presso i càtari è chiamato vescovo, avrà dignità di presbitero, a
meno che piaccia al vescovo che quegli possa dividere con lui la stessa
dignità. Se poi questa soluzione non fosse per lui soddisfacente, gli procurerà
un posto o di corepiscopo o di presbitero, perché
appaia che egli fa parte veramente del clero e che non vi sono due vescovi
nella stessa città.
IX. Di quelli che senza il debito esame sono Promossi al sacerdozio.
Se alcuni sono stati promossi presbiteri senza il debito esame, o, se
esaminati, hanno confessato dei falli, ma, contro le disposizioni dei canoni,
hanno ricevuto l'imposizione delle mani, la legge ecclesiastica non li
riconosce; la chiesa cattolica infatti vuole uomini irreprensibili.
X. Di coloro che hanno rinnegato la propria fede durante la Persecuzione e
poi sono stati ammessi fra il clero.
Se alcuni di quelli che hanno rinnegato la fede cristiana sono stati eletti
sacerdoti o per ignoranza o per simulazione di quelli che li hanno scelti,
questo non porta pregiudizio alla disciplina ecclesiastica: una volta scoperti,
infatti, costoro saranno deposti.
XI. Di quelli che hanno rinnegato la Propria fede e sono finiti tra i
laici.
Quanto a quelli che, senza necessità, senza confisca dei beni, senza
pericolo o qualche cosa di simile - ciò che avvenne sotto la tirannide di Licinio - hanno tradito la loro fede, questo santo sinodo
dispone che, per quanto essi siano indegni di qualsiasi benevolenza, si usi
tuttavia comprensione per essi. Quelli dunque tra i fedeli che fanno davvero
penitenza, trascorrano tre anni tra gli audientes,
sei anni tra i substrati (2), e per due anni preghino col popolo salvo
che all'offertorio.
XII. Di coloro che, dopo aver lasciato il mondo, vi sono poi ritornati.
Quelli che chiamati dalla grazia, dopo un primo entusiasmo hanno deposto il
cingolo militare, ma poi sono tornati, come i cani, sui loro passi (3), al
punto da versare denaro e da ricercare con benefici la vita militare, facciano
penitenza per dieci anni, dopo aver passato tre anni fra gli audientes (4). Ma, per questi penitenti, bisognerà
guardare la loro volontà ed il modo di far penitenza. Quelli, infatti, che col
timore, con le lacrime, con la pazienza, con le buone opere dimostrano con i
fatti, e non simulano la loro conversione, costoro, compiuto il tempo
prescritto da passare fra gli audientes (5),
potranno essere ammessi ragionevolmente a partecipare alle preghiere; dopo ciò,
il vescovo potrà prendere nei loro riguardi qualche decisione anche più mite.
Ma quelli che si comportano con indifferenza, e credono che per la loro
espiazione sia sufficiente questa penitenza, devono senz'altro scontare tutto
il tempo stabilito.
XIII. Di quelli che in punto di morte chiedono la comunione.
Con quelli che sono in, fin di vita, si osservi ancora l'antica norma per
cui in caso di morte nessuno sia privato dell'ultimo, indispensabile viatico.
Se poi avvenisse che quegli che era stato dichiarato disperato, ed era,stato
ammesso alla comunione e fatto partecipe dell'offerta, guarisca, sia ammesso
tra coloro che partecipano alla sola preghiera (fino a che sia trascorso il
tempo stabilito da questo grande concilio ecumenico). In genere, poi, il
vescovo, dopo inchiesta, ammetterà chiunque si trovi in punto di morte e chieda
di partecipare all'eucarestia.
XIV. Dei catecumeni lapsi.
Questo santo e grande concilio stabilisce che i catecumeni lapsi per tre anni siano ammessi solo tra gli audientes (6), e che dopo questo tempo possano
prender parte alla preghiera, con gli altri catecumeni.
XV. Del clero che si sposta di città in città.
Per i molti tumulti ed agitazioni che avvengono, è sembrato bene che sia
assolutamente stroncata la consuetudine, che in qualche parte ha preso piede,
contro le norme ecclesiastiche, in modo che né vescovi né preti, né diaconi si
trasferiscano da una città all'altra. Che se qualcuno, dopo questa disposizione
del santo e grande concilio, facesse qualche cosa di simile, e seguisse
l'antico costume, questo suo trasferimento sarà senz'altro considerato nullo,
ed egli dovrà ritornare alla chiesa per cui fu eletto vescovo, o presbitero, o
diacono
XVI. Di coloro che non dimorano nelle chiese nelle quali furono eletti.
Quanti temerariamente, senza santo timore di Dio, né alcun rispetto per i
sacri canoni si allontanano dalla propria chiesa, siano essi sacerdoti o
diaconi, o in qualsiasi modo ecclesiastici, non devono in nessun modo essere
accolti in un'altra chiesa; bisogna, invece, metterli nell'assoluta necessità
di far ritorno alla propria comunità, altrimenti siano esclusi dalla comunione.
Che se poi uno tentasse di usar violenza ad alcun dipendente da un altro
vescovo e di consacrarlo nella sua chiesa contro la volontà del vescovo, da cui
si è allontanato, tale ordinazione sia considerata nulla.
XVII. Dei chierici che esercitano l'usura.
Poiché molti che sono soggetti ad una regola religiosa, trascinati da
avarizia e da volgare desiderio di guadagno, e dimenticata la divina Scrittura,
che dice: Non ha dato il suo denaro ad interesse (7), prestando, esigono
un interesse, il santo e grande sinodo ha creduto giusto che se qualcuno, dopo
la presente disposizione prenderà usura, o farà questo mestiere d'usuraio in
qualsiasi altra maniera, o esigerà una volta e mezza tanto:, o si darà, in
breve, a qualche altro guadagno scandaloso, sarà radiato dal clero e
considerato estraneo alla regola.
XVIII. Che i diaconi non debbano dare l'eucarestia ai presbiteri; e che non
devono prender posto avanti a questi.
Questo grande e santo concilio è venuto a conoscenza che in alcuni luoghi e
città i diaconi danno la comunione ai presbiteri: cosa che né i sacri canoni,
né la consuetudine permettono: che, cioè, quelli che non hanno il potere di
consacrare diano il corpo di Cristo a coloro che possono offrirlo. Esso è
venuto a conoscenza anche di questo: che alcuni diaconi ricevono l'eucarestia
perfino prima dei vescovi. Tutto ciò sia tolto di mezzo, e i diaconi rimangano
nei propri limiti, considerando che essi sono ministri dei vescovi ed inferiori
ai presbiteri. Ricevano, quindi, come esige l'ordine, l'eucarestia, dopo i
sacerdoti, e per mano del vescovo o del sacerdote. Non è neppure lecito ai
diaconi sedere in mezzo ai presbiteri; ciò è, infatti, sia contro i sacri
canoni, sia contro l'ordine. Se poi qualcuno non intende obbedire, neppure dopo
queste prescrizioni, sia sospeso dal diaconato.
XIX. Di quelli che dall'errore di Paolo di Samosata si avvicinano alla chiesa cattolica e delle diaconesse.
Quanto ai seguaci di Paolo, che intendono passare alla chiesa cattolica,
bisogna osservare l'antica prescrizione che essi siano senz'altro ribattezzati.
Se qualcuno di essi, in passato, aveva appartenuto al clero, purché, del tutto
irreprensibile, una volta ribattezzato potrà essere ordinato dal vescovo della
chiesa cattolica. Ma se l'esame dovesse far concludere che si tratta di inetti,
è bene deporli. Questo modo d'agire sarà usato anche con le diaconesse e, in
genere, con quanti appartengono al clero. Quanto alle diaconesse in
particolare, ricordiamo, che esse, non avendo ricevuto alcuna imposizione delle
mani, devono essere computate senz'altro fra le persone laiche.
XX. Che non si debba, nei giorni di domenica e di Pentecoste, pregare in
ginocchio.
Poiché vi sono alcuni che di domenica e nei giorni della Pentecoste si
inginocchiano, per una completa uniformità è sembrato bene a questo santo
sinodo che le preghiere a Dio si facciano in piedi.
Note
(1) I Tm 3, 6-7 |