Studiò
nel Collegio Cicognini di Prato e poi all'Università
di Pisa dove si laureò nel 1748. Fin da ragazzo manifestò vocazione
ecclesiastica. In più apprese con facilità le lingue, la letteratura e la
matematica, e aiutò il matematico Bettazzi nella
riforma del calendario.
Su
interessamento dell'abate Antonio Niccolini gli fu
proposta la cattedra di diritto canonico nell'Università di Torino ma, sfumata
l'occasione, trovandosi accolto bene, fu promosso direttore del Collegio di
Superga.
Il
cardinale Carlo Vittorio Amedeo Delle Lanze, sapendo
che Benedetto XIV, desiderava una buona versione della Bibbia in toscano
contemporaneo, spinse il Martini a intraprendere il lavoro.
Frontespizio
di un'edizione della Bibbia di Antonio Martini (1836)
Questi
iniziò una nuova traduzione del Nuovo Testamento secondo la Vulgata sisto-clementina, ma presto si rese conto che questo lavoro
non gli era possibile mentre rimanesse direttore del collegio. Rassegnò quindi
le dimissioni dalla direzione di quest'ultimo e accettò dal re Carlo Emanuele
IV di Savoia una nomina a consigliere di Stato insieme alla commenda
dell'abbazia di San Giacomo della Bessa che ricevette
il 4 luglio 1765[1].
Nonostante
un certo scoraggiamento dovuto alla morte di Benedetto XIV, Martini continuò
l'opera di traduzione, e completò la pubblicazione del Nuovo Testamento nel
1771.
Nel
suo lavoro sul testo ebraico dell'Antico Testamento, la cui traduzione
intraprese dopo quella del Nuovo, fu assistito dal rabbino Terni, uno studioso
ebreo. Segnalò in Appendice e nelle Note le varianti del testo greco dei
Settanta e di altre venerabili traduzioni e del testo ebraico. Si trattò della
prima traduzione in italiano dai tempi del monaco Nicolò Malermi (1471). L'opera fu approvata nella sua interezza, da Pio VI e rimase la traduzione in italiano più diffusa nella Chiesa cattolica italiana
fino al XX secolo.
Il
papa lo volle premiare nominandolo vescovo di Bobbio. Mentre si recava a Roma
per l'investitura, il Martini si fermò a Firenze e il granduca Pietro Leopoldo
rimase colpito dalla cultura di questo uomo di chiesa toscano e gli propose di
venire nominato arcivescovo di Firenze, essendo da poco spirato il precedente
arcivescovo Francesco Gaetano Incontri. Il Martini chiese prima il beneplacito
del pontefice e del Re di Sardegna, e una volta ottenuti accettò l'incarico.
Venne consacrato a Roma il 2 luglio 1781.
Pietro
Leopoldo in realtà si trovò poi a scontrarsi con l'arcivescovo, che con
fierezza tenne fronte alla sua politica ecclesiastica di stampo giansenistico,
opponendosi duramente alle riforme che secolarizzavano gli istituti religiosi,
ridimensionavano il potere del clero, eccetera. Nell'aprile del 1787 il
Granduca chiamò un'assemblea dei vescovi del Granducato in Palazzo Pitti, e il Martini seppe far valere le proprie posizioni a
fronte dei soprusi del Granduca: Pietro Leopoldo avrebbe voluto infatti una rottura
con Roma nell'ottica di una maggiore indipendenza delle sue decisioni in
materia di clero.
Sostenne
il Seminario Maggiore Arcivescovile di Firenze e fondò il seminario di Firenzuola, nell'ottica di un'attenzione particolare verso
le zone montane, e compì una minuziosa visita pastorale nelle parrocchie della
diocesi.
Durante
il suo arcivescovato ebbe luogo l'occupazione francese della Toscana, ed egli,
grazie alla sua forza ed alla sua condotta di lineare moralità, seppe
intraprendere delle tutto sommato buone relazioni con gli occupanti che lo
trattarono con stima.
La
sua grande generosità nella carità lo portò alla povertà: a fronte delle nuove
tasse imposte dai francesi, egli arrivò ad offrire agli stranieri la croce
pettorale e l'anello vescovile, non avendo ormai più denari per pagare.
Morì
il 31 dicembre 1809.
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