Concilio di Trento.
Cliccare sull'immagine per leggere il Catechismo Tridentino
I-VI sessione (1545-1547) | VII-XI sessione (1547) | XII-XVI sessione
(1551-1552)
|
XVII-XXII sessione (1562-1563) | XXIII-XXIV sessione
(1563)
|
XXV sessione (1563)
|
Concilio di Trento
25 sessioni dal 13 dicembre 1545 al 4 dicembre 1563 in
tre periodi: I-VIII sessione a Trento 1545-47 (IX-XI sessione a Bologna 1547)
tutte sotto Papa Paolo III (1534-1549); XII-XVI sessione a Trento 1551-52 sotto
Papa Giulio III (1550-1555); XVII-XXV sessione a Trento sotto Papa Pio IV
(1559-1565).
Dottrina sulla Scrittura e la tradizione, peccato originale e giustificazione,
sacramenti e sacrificio della messa, culto dei Santi. Decreti di riforma.
SESSIONE I (13 dicembre 1545)
(Decreto di inizio del concilio).
Reverendi Padri, credete opportuno, a lode e gloria della santa e indivisa
Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, per l’incremento e l’esaltazione della
fede e della religione cristiana, per l’estirpazione delle eresie, per la pace
e l’unione della chiesa, per la riforma del clero e del popolo, per la
repressione e l’estinzione dei nemici del nome cristiano, decretare e
dichiarare aperto il sacro, generale concilio tridentino? [Risposero: sì].
(Indizione della futura sessione).
E poiché è già prossima la solennità della natività del signore nostro Gesù
Cristo e seguiranno le altre festività del termine e dell’inizio dell’anno,
credete bene che la prima futura sessione del concilio si debba tenere il
giovedì dopo l’Epifania, che sarà il giorno 7 gennaio dell’anno del Signore
I546? [Risposero: sì].
SESSIONE II (7 gennaio 1546)
(Decreto sul modo di vivere e su altre cose da osservarsi nel concilio).
Il sacrosanto concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito
santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, ben
sapendo col beato Giacomo apostolo, che quanto di meglio ci vien dato ed
ogni dono perfetto viene dall’alto, scendendo dal Padre dei lumi (1) - il
quale a quelli che domandano la sapienza dà a tutti abbondantemente senza
rimproveri (2) - ed anche che l’inizio della sapienza è il timore di Dio (3), ha stabilito che debbano esortarsi - ed esorta di fatto - tutti i fedeli
cristiani raccolti nella città di Trento, perché vogliano correggersi del male
e dei peccati finora commessi, e, nel futuro, camminare nel timore del Signore,
e non seguire i desideri della carne (4), perché vogliano esser assidui
alle orazioni, più spesso confessarsi e ricevere il sacramento dell’eucarestia,
frequentare le chiese, mettere in pratica, per quanto ognuno lo potrà, i
comandamenti di Dio e pregare ogni giorno, privatamente, per la pace dei
principi cristiani e per l’unità della chiesa.
Quanto ai vescovi e a qualsiasi altro sacerdote che si trovi in questa
città per la celebrazione del concilio ecumenico, li esorta a voler attendere
assiduamente alle lodi di Dio, offrendo sacrifici, lodi, preghiere, celebrando
il sacrificio della messa almeno ogni domenica, giorno nel quale il Signore
creò la luce, risorse dai morti, ed effuse lo Spirito santo sui discepoli.
Offrano, come lo stesso Spirito santo comanda per mezzo degli apostoli, suppliche,
preghiere, richieste, rendimenti di grazie (5), per il santissimo nostro
signore il papa, per l’imperatore, per i re, per tutti gli altri che sono
costituiti in autorità e per tutti gli uomini, perché conduciamo una vita
quieta e tranquilla (6), possiamo goder della pace e vedere l’espansione
della fede.
Li esorta, inoltre, a voler digiunare almeno ogni venerdì, in memoria della
passione del Signore e a far elemosine ai poveri.
Nella chiesa cattedrale sia celebrata, ogni giovedì, la messa dello Spirito
santo, con le litanie e le altre preghiere stabilite a questo scopo. Nelle
altre chiese vengano dette nello stesso giorno almeno le litanie e le orazioni.
E durante il tempo delle funzioni sacre, non si chiacchieri e non si raccontino
storie, ma si assista il celebrante con la bocca e col cuore.
E poiché bisogna che i vescovi siano irreprensibili, sobri, casti, bravi
amministratori della loro casa (7), li esorta anche affinché prima di tutto
ognuno conservi, a mensa, la sobrietà e la moderazione nei cibi; e poi, dato
che in essa, di solito, si tengono discorsi oziosi, perché nelle mense dei
vescovi si faccia sempre un po’ di lettura della Scrittura.
Ognuno istruisca e cerchi di educare i suoi familiari, perché sfuggano le
risse, il vino, la disonestà, la cupidigia; perché non siano superbi, né
bestemmiatori o amanti dei piaceri. Fuggano, finalmente, i vizi e abbraccino le
virtù; nel modo di vestire e di ornarsi, ed in ogni loro altra azione si
mostrino onesti, come si addice ai servi dei servi di Dio.
Inoltre, poiché la principale preoccupazione, sollecitudine, intenzione di
questo sacrosanto concilio è che, - dissipate le tenebre delle eresie, che per
tanti anni hanno imperversato sulla terra, - con l’aiuto di Gesù Cristo, luce
vera (8), risplenda la luce, lo splendore, la purezza della verità cattolica, e
sia riformato ciò che ne ha bisogno, lo stesso concilio esorta tutti i
cattolici, convenuti o che converranno a Trento, e in modo particolare quelli
che hanno una particolare conoscenza delle sacre scritture, perché vogliano
seriamente riflettere per quali vie e con quali mezzi specialmente possa
realizzarsi l’intenzione del concilio e sia conseguito l’effetto desiderato:
una sollecita e consapevole condanna degli errori, la conferma delle cose degne
di approvazione; così che per tutto il mondo tutti con una sola voce e
con la confessione della stessa fede glorifichino Dio, Padre del signore
nostro Gesù Cristo (9).
Nell’esporre, poi, le proprie opinioni - poiché i sacerdoti del Signore
siedono nel luogo della benedizione - secondo quanto stabilisce il concilio
Toletano (10), nessuno deve strepitare con espressioni smodate, o disturbare
con tumulti; così come non deve far valere le sue idee con dispute false, vane,
ostinate. Tutto ciò che viene detto, invece, sia moderato da una forma così
mite, che né offenda chi ascolta, né offuschi, per lo sconvolgimento
dell’animo, il sereno giudizio della mente.
Lo stesso santo concilio ha stabilito, inoltre, e decretato che, se durante
il concilio qualcuno esercitasse un diritto che non gli spetta persino col voto
e con la partecipazione alle congregazioni non ne deriverà pregiudizio per
alcuno né acquisizione di diritti.
SESSIONE III (4 febbraio 1546)
Si accoglie il simbolo della fede cattolica.
Nel nome della Santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo.
Questo sacrosanto e generale concilio ecumenico tridentino, legittimamente
riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della
sede apostolica, considerando l’importanza degli argomenti da trattare, specie
di quelli che sono compresi nei due capitoli della estirpazione delle eresie e
della riforma dei costumi, per cui principalmente è stato radunato; ben
comprendendo, con l’Apostolo, che esso non deve lottare con la carne e il
sangue, ma contro gli esseri spirituali del male che abitano le regioni celesti (11), con lo stesso apostolo esorta, in primo luogo, tutti e singoli, perché
siano forti nel Signore, e nella potenza della sua forza; imbracciando in ogni
cosa lo scudo della fede, con cui possano estinguere tutti i dardi infuocati
del malvagio (nemico), e prendano l’elmo della speranza della salvezza e la
spada dello Spirito, che è la parola di Dio (12).
Perché, quindi, questa sua materna sollecitudine abbia inizio e progredisca
per la grazia di Dio, prima di tutto stabilisce e dispone di premettere la
professione di fede. Esso segue, in ciò, l’esempio dei padri, i quali usarono
opporre nei concili più venerandi questo scudo contro ogni eresia, all’inizio
della loro attività; solo con esso condussero gli infedeli alla fede,
espugnarono gli eretici, confermarono i fedeli. Ha creduto bene, quindi, che si
professi il simbolo della fede in uso presso la santa chiesa Romana, come
principio in cui tutti quelli che professano la fede di Cristo necessariamente
convengono, e come fondamento fermo e unico, contro il quale le porte
dell’inferno non prevarranno mai (13), con le esatte parole, con cui si
legge in tutte le chiese. Eccone il testo: Credo in un solo Dio, Padre
onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutti gli esseri, visibili e
invisibili. Credo anche in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio unigenito di
Dio, nato dal Padre prima di qualsiasi tempo, Dio da Dio, luce da luce, Dio
vero da Dio vero, generato, non creato, consostanziale al Padre, per mezzo del
quale sono state create tutte le cose. Per noi uomini e la nostra salvezza Egli
è disceso dal cielo, si è incarnato dalla vergine Maria per opera dello Spirito
santo, e si è fatto uomo. È stato anche crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
ha sofferto la passione ed è stato sepolto. È risuscitato il terzo giorno
secondo le scritture, è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Verrà di
nuovo nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine.
Credo nello Spirito santo, signore e vivificante, che procede dal Padre e dal
Figlio. Egli è adorato e glorificato insieme col Padre e col Figlio, ed ha
parlato per bocca dei profeti. Credo una sola chiesa santa, cattolica e
apostolica. Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati ed aspetto
la resurrezione dei morti e la vita del tempo futuro. Amen.
Data della futura sessione.
Lo stesso sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale,
legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi
tre legati della sede apostolica, considerando che molti prelati si sono
accinti al viaggio da diverse parti, che alcuni sono già in via per venire qui,
e che tutto quello che dovrà esser deciso dallo stesso santo sinodo potrà
incontrare presso tutti una stima ed un onore tanto più grandi, quanto più
completa sarà l’assemblea e più numerosa la presenza dei padri che l’hanno
sancito e rafforzato, ha stabilito e deciso che la sessione, successiva a
questa sia celebrata il giovedì, che seguirà la prossima domenica Laetare.
In questo intervallo, tuttavia, non verrà sospesa la discussione e l’esame
di quegli argomenti che sembrerà opportuno allo stesso sinodo discutere ed
esaminare.
SESSIONE IV (8 aprile 1546)
Primo decreto: Si ricevono i libri sacri e le tradizioni apostoliche.
Il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente
riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dei medesimi tre legati della
sede apostolica, ha sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi
nella chiesa la stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo
attraverso i profeti nelle scritture sante (l4), il signore nostro Gesù Cristo,
figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse
predicato ad ogni creatura (15) per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di
ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi.
E poiché il sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri
scritti e nelle tradizioni non scritte - che raccolte dagli apostoli dalla
bocca dello stesso Cristo e dagli stessi apostoli, sotto l’ispirazione dello
Spirito santo, tramandate quasi di mano in mano (16), sono giunte fino a noi, —
seguendo l’esempio dei padri ortodossi, con uguale pietà e pari riverenza
accoglie e venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, -
Dio, infatti, è autore dell’uno e dell’altro ed anche le tradizioni stesse, che
riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo
oralmente o dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella
chiesa cattolica.
E perché nessuno possa dubitare quali siano i libri accettati dallo stesso
sinodo come sacri, esso ha creduto opportuno aggiungere a questo decreto
l’elenco.
Dell’antico Testamento: i cinque di Mosè, e cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth; i quattro dei Re; i due dei Paralipomeni; il primo e
il secondo di Esdra (che è detto di Neemia); Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe; i Salmi di
David; i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei cantici,
la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruch, Ezechiele, Daniele; i dodici Profeti
minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due
dei Maccabei, primo e secondo.
Del nuovo Testamento: i quattro Evangeli: secondo Matteo, Marco,
Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, scritti dall’evangelista Luca;
le quattordici Lettere dell’Apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinti,
ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a
Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; due
dell’apostolo Pietro, tre dell’apostolo Giovanni, una dell’apostolo Giacomo,
una dell’apostolo Giuda, e l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni.
Se qualcuno, poi, non accetterà come sacri e canonici questi libri, interi
con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella chiesa cattolica e
come si trovano nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà
consapevolmente le predette tradizioni, sia anatema.
Sappiano quindi tutti, con quali argomenti lo stesso sinodo, posto il
fondamento della confessione della fede, procederà, e soprattutto di quali
testimonianze e difese si servirà nel confermare gli insegnamenti e nel
riformare i costumi nella chiesa.
Secondo decreto: Si accetta l’edizione volgata della Bibbia e si
prescrive il modo ai interpretare la sacra Scrittura ecc.
Lo stesso sacrosanto sinodo, considerando, inoltre, che la chiesa di Dio
potrebbe ricavare non piccola utilità, se si sapesse quale, fra tutte le
edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, debba essere ritenuta
autentica, stabilisce e dichiara che questa stessa antica edizione volgata,
approvata nella chiesa dall’uso di tanti secoli, si debba ritenere come
autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione e che
nessuno osi o presuma respingerla con qualsiasi pretesto.
Inoltre, per reprimere gli ingegni troppo saccenti, dichiara che nessuno,
basandosi sulla propria saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che
riguardano la dottrina cristiana, piegando la sacra Scrittura secondo i propri
modi di vedere, osi interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e
ritiene la santa madre chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e
dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso
dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai pubblicate.
Chi contravvenisse sia denunciato dagli ordinari e punito secondo il diritto.
Ma, volendo anche com’è giusto, imporre un limite in questo campo agli
editori, i quali, ormai, senza alcun criterio - credendo che sia loro lecito
tutto quello che loro piace — stampano, senza il permesso dei superiori
ecclesiastici, i libri della sacra scrittura con note e commenti di chiunque
indifferentemente, spesso tacendo il nome dell’editore, spesso nascondendolo
con uno pseudonimo, e - cosa ancor più grave, - senza il nome dell’autore, e
pongono in vendita altrove, temerariamente, questi libri stampati, il concilio
prescrive e stabilisce che, d’ora in poi la sacra scrittura - specialmente
questa antica volgata edizione, sia stampata nel modo più corretto, e che
nessuno possa stampare o far stampare libri di soggetto sacro senza il nome
dell’autore né venderli in futuro o anche tenerli presso di sé, se prima non
sono stati esaminati ed approvati dall’ordinario, sotto minaccia di scomunica e
della multa stabilita dal canone dell’ultimo concilio Lateranense (17).
Se si trattasse di religiosi, oltre a questo esame e a questa approvazione,
siano obbligati ad ottenere anche la licenza dei loro superiori, dopo che
questi avranno esaminato i libri secondo le prescrizioni delle loro regole.
Chi comunica o diffonde per iscritto tali libri, senza che siano stati
prima esaminati ed approvati, sia sottoposto alle stesse pene riservate agli
stampatori. Quelli che li posseggono o li leggono, se non diranno il nome
dell’autore, siano considerati come autori. L’approvazione di questi libri
venga data per iscritto, e quindi sia posta sul frontespizio del libro, sia esso
scritto a mano o stampato. L’approvazione e l’esame siano gratuiti, così che le
cose da approvarsi siano approvate e siano riprovate quelle da riprovarsi.
Volendo infine reprimere il temerario uso, per cui parole e espressioni
della sacra scrittura vengono adattate e contorte a significare cose profane,
volgari, favolose, vane, adulazioni, detrazioni, superstizioni, incantesimi
empi e diabolici, divinazioni, sortilegi, libelli diffamatori, il concilio
comanda ed ordina per togliere di mezzo questo irriverente disprezzo, ed anche
perché in avvenire nessuno osi servirsi, in qualsiasi modo, delle parole della
sacra scrittura per indicare simili cose, che tutti i corruttori e violatori
della parola di Dio, siano puniti dai vescovi secondo il diritto o la discrezione
dei vescovi stessi.
Terzo decreto: Indizione della futura sessione.
Questo sacrosanto concilio stabilisce e comanda che la futura sessione
debba esser celebrata il giovedì dopo la prossima santissima festa di
Pentecoste.
SESSIONE V (I7 giugno 1546)
Decreto sul peccato originale.
Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a
Dio (18), rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il popolo
cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina (19) dal momento che
l’antico, famoso serpente (20), sempre nemico del genere umano, tra i
moltissimi mali da cui è sconvolta la chiesa di Dio in questi nostri tempi, ha
suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del peccato originale e
dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino,
legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi
tre legati della sede apostolica, volendo richiamare gli erranti e confermare
gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre scritture, dei santi padri,
dei concili più venerandi ed il giudizio e il consenso della chiesa stessa,
stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul peccato originale.
1. Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso
il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era
stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e
nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima
minacciato, e, con la morte, nella schiavitù di colui che, in seguito, ebbe
il potere della morte e cioè il demonio (21); e che Adamo per quel peccato
di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema.
2. Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non
anche alla sua discendenza; che perdette per sé soltanto, e non anche per noi,
la santità e giustizia che aveva ricevuto da Dio; o che egli, inquinato dal
peccato di disobbedienza, abbia trasmesso a tutto il genere umano solo la morte
e le pene del corpo, e non invece anche il peccato, che è la morte dell’anima:
sia anatema. Contraddice infatti all’apostolo, che afferma: Per mezzo di un
sol uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte, e così la
morte si trasmise a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono (22).
3. Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua origine, trasmesso
con la generazione e non per imitazione, che aderisce a tutti, ed è proprio di
ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura umana, o con altro mezzo,
al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il signore nostro Gesù Cristo, che
ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue (23), diventato per noi
giustizia, santificazione e redenzione (24); o nega che lo stesso merito di
Gesù Cristo venga applicato sia agli adulti che ai bambini col sacramento del
battesimo, rettamente conferito secondo il modo proprio della chiesa: sia
anatema. Perché non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel
quale è stabilito che possiamo essere salvi (25). Da cui l’espressione: Ecco
l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (26) e l’altra: Tutti voi che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo (27).
4. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser battezzati, anche se
figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi sono battezzati per la
remissione dei peccati, ma che non contraggono da Adamo alcun peccato
originale, che sia necessario purificare col lavacro della rigenerazione per
conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma del battesimo per
la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa sia anatema.
Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice l’apostolo: Per
mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col peccato la morte,
così la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli uomini hanno peccato (28), se non nel senso in cui la chiesa cattolica universale l’ha sempre
inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione apostolica anche i bambini,
che non hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati,
affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con
la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito
santo, non può entrare nel regno di Dio (29).
5. Chi nega che per la grazia del signore nostro Gesù Cristo, conferita nel
battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se asserisce che tutto
quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma solo cancellato o non
imputato (30) sia anatema. In quelli infatti che sono rinati a nuova vita Dio
non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione per coloro (31) che col
battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte (32), i quali non
camminano secondo la carne (33), ma spogliandosi dell’uomo vecchio e
rivestendosi del nuovo (34), che è stato creato secondo Dio, sono diventati
innocenti, immacolati, puri, senza macchia, figli cari a Dio, eredi di Dio e
coeredi di Cristo (35); di modo che assolutamente nulla li trattiene
dall’ingresso nel cielo.
Questo santo sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane la
concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta, non può
nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente con la
grazia di Gesù Cristo. Anzi, chi avrà combattuto secondo le regole, sarà
coronato (36).
Il santo sinodo dichiara che mai la chiesa cattolica ha inteso che venga
chiamato "peccato" la concupiscenza, qualche volta chiamata
dall’apostolo peccato (37), per il fatto che nei rinati alla grazia non è un
vero e proprio peccato, ma perché ha origine dal peccato e ad esso inclina. Chi
pensasse il contrario sia anatema.
6. Questo santo sinodo dichiara tuttavia, che non è sua intenzione
comprendere in questo decreto, dove si tratta del peccato originale, la beata
ed immacolata vergine Maria, madre di Dio, ma che si debbano osservare a questo
riguardo le costituzioni di papa Sisto IV (38), di felice memoria, sotto pena
di incorrere nelle sanzioni in esse contenute che il sinodo rinnova.
Secondo decreto: Sulla lettura della s. scrittura e la predicazione.
1. Lo stesso sacrosanto sinodo, aderendo alle pie costituzioni dei sommi
pontefici e dei concili approvati, le fa sue; e volendo completarle, perché non
avvenga che il tesoro celeste dei libri sacri, che lo Spirito santo ha dato
agli uomini con somma liberalità, rimanga trascurato, ha stabilito e ordinato
che nelle chiese, in cui vi sia una prebenda o una dotazione, o uno stipendio
comunque chiamato destinato ai lettori di sacra teologia, i vescovi, gli
arcivescovi, i primati e gli altri ordinari locali obblighino, anche con la
sottrazione dei frutti relativi, quelli che hanno questa prebenda, dotazione o
stipendio, ad esporre e spiegare la sacra scrittura personalmente, se sono
idonei, altrimenti per mezzo di un sostituto adatto, da scegliersi dai vescovi,
dagli arcivescovi, dai primati e dagli altri ordinari stessi.
Per il futuro tale prebenda, dotazione o stipendio non dovrà esser
conferito se non a persone adatte, che siano capaci di esplicare tale ufficio
da se stessi. Ogni provvista fatta altrimenti sia nulla e invalida.
2. Nelle chiese metropolitane o cattedrali, se la città è importante e
popolosa, ed anche nelle collegiate che si trovassero in un centro importante,
- anche di nessuna diocesi, - purché vi sia numeroso clero, qualora non si
trovi prebenda, dotazione o stipendio da destinare a questo scopo, si consideri ipso facto destinata per sempre a ciò la prima prebenda che in qualsiasi
modo si renda vacante, salvo il caso di rinunzia e qualora vi sia annesso un
altro onere incompatibile. Se non vi fosse in queste stesse chiese alcuna
prebenda o fosse insufficiente, il metropolita o il vescovo stesso, con l’assegnazione
dei frutti di un beneficio semplice (di cui però bisogna soddisfare gli oneri),
o col contributo dei beneficiati della sua città e diocesi, o anche in altro
modo, come si potrà fare più facilmente, col consiglio del capitolo provveda in
maniera tale, che si abbia la lettura della sacra scrittura. Ciò però, avvenga
in modo che qualsiasi altra lettura, istituita o consuetudinaria non sia, per
questo motivo, omessa.
3. Quelle chiese i cui proventi annuali fossero limitati, o dove il clero e
il popolo fosse tanto scarso, da non potersi tenere opportunamente la lezione
di teologia, abbiano almeno un maestro, scelto dal vescovo col consiglio del
capitolo, che insegni gratuitamente la grammatica ai chierici e agli altri
scolari poveri, perché, con l’aiuto di Dio, possano poi passare agli studi
della sacra scrittura. Il maestro di grammatica riceva i frutti di un beneficio
semplice fino a che eserciterà tale ufficio senza che, tuttavia, il beneficio
stesso sia distolto dal proprio scopo, o un adeguato compenso dalla mensa
capitolare o vescovile o il vescovo stesso escogiti qualche altro mezzo adatto
alla sua chiesa e diocesi, perché questa pia, utile e così fruttuosa disposizione,
sotto qualsiasi pretesto, non venga trascurata.
4. Anche nei monasteri dove possa essere convenientemente realizzata, si
tenga tale lettura della sacra scrittura. Se gli abati fossero negligenti, i
vescovi quali delegati della sede apostolica, li costringano a farlo con i
mezzi opportuni.
5. Nei conventi dei regolari, in cui gli studi possono essere facilmente
coltivati la lezione di sacra scrittura abbia ugualmente luogo, essa sia
assegnata dai capitoli generali o provinciali ai maestri più degni.
6. Anche nei ginnasi pubblici, dove questa lezione, più necessaria di tutte
le altre non fosse stata ancora istituita, sia attivata dalla pietà e dalla
carità dei religiosissimi principi e delle repubbliche, per la difesa e
l’incremento della fede cattolica e per la conservazione e propagazione della
sana dottrina. E dove fosse stata istituita ma fosse trascurata, la si rimetta
in auge.
7. E perché sotto l’apparenza della pietà non venga diffusa l’empietà, lo
stesso santo sinodo stabilisce che nessuno debba essere ammesso a tale ufficio
di lettore, sia in pubblico che in privato, se prima non è stato esaminato dal
vescovo del luogo circa la sua vita, i suoi costumi, la sua scienza, e
approvato. Ciò, tuttavia, non si applica ai lettori dei monasteri.
8. Gli insegnanti di sacra scrittura, nel tempo in cui insegnano
pubblicamente nelle scuole, e così pure gli studenti godano ed usufruiscano di
tutti i privilegi concessi dal diritto di percepire i frutti delle loro
prebende e dei loro benefici anche durante la loro assenza.
9. Poiché, tuttavia, alla società cristiana non è meno necessaria la
predicazione del Vangelo, che la sua lettura, e questo è il principale ufficio
dei vescovi (39), lo stesso santo sinodo ha stabilito e deciso che tutti i
vescovi, arcivescovi, primati, e tutti gli altri prelati di chiese siano tenuti
a predicare personalmente il santo Vangelo di Gesù Cristo se non ne sono
legittimamente impediti.
10. Se i vescovi e le altre persone nominate fossero impedite da un
legittimo motivo, siano tenuti, conformemente a quanto prescrive il concilio
generale (40), a farsi sostituire da persone adatte per questo ufficio della
predicazione. Se qualcuno trascurasse di adempiere ciò, sia sottoposto ad una
pena severa.
11. Anche gli arcipreti, i pievani, e tutti coloro che abbiano cura d’anime
nelle parrocchie o altrove, personalmente o per mezzo d’altri se ne fossero
legittimamente impediti, almeno nelle domeniche e nelle feste più solenni,
nutrano il popolo loro affidato con parole salutari, secondo la propria e la
loro capacità, insegnando quelle verità che sono necessarie a tutti per la
salvezza e facendo loro conoscere, con una spiegazione breve e facile, i vizi
che devono fuggire e le virtù che devono praticare, per evitare la pena eterna
e conseguire la gloria celeste.
Se poi qualcuno di loro fosse negligente anche se pretendesse di essere
esente dalla giurisdizione del vescovo per qualsiasi motivo o anche se le
chiese fossero ritenute in qualsiasi modo esenti, o forse annesse o unite a
qualche monastero, situato magari fuori diocesi, purché in realtà si trovino
nella diocesi, non manchi la provvidenziale sollecitudine dei vescovi, perché
non debba avverarsi il detto: I piccoli chiesero il pane e non vi era chi lo
spezzasse loro (41) Se però, pur ammoniti dal vescovo, per tre mesi
mancassero al loro ufficio, vi siano costretti con le censure ecclesiastiche, o
in altro modo secondo la decisione dello stesso vescovo. Se a lui sembrasse
opportuno, potrà anche esser dato ad altri un onesto compenso sui frutti del beneficio
perché compia questo dovere, fino a che il titolare si ravveda e adempia il suo
dovere.
12. Nelle chiese parrocchiali soggette a monasteri non dipendenti da alcuna
diocesi, qualora gli abati e i superiori dei religiosi fossero negligenti in
ciò che abbiamo detto, vi siano costretti dai metropoliti, nelle cui province
si trovano le stesse diocesi, i quali si considereranno, in questa occasione,
delegati della sede apostolica.
Né valgano ad impedire l’esecuzione di qesto decreto la consuetudine, l’esenzione, l’appello o il reclamo, cioè il ricorso,
fino a che il giudice competente, con procedimento sommario e tenendo solo
conto della verità del fatto, non abbia esaminato e deciso l’argomento.
13. I religiosi di qualunque ordine, se non sono stati esaminati e
approvati dai loro superiori circa la vita, i costumi e la scienza, e se non
consta di questa loro licenza, non potranno predicare neppure nelle chiese dei
loro ordini. Essi devono presentarsi con essa personalmente ai vescovi e
chiedere la loro benedizione, prima di dare inizio alla predicazione (42).
14. I religiosi nelle chiese, che non appartengono al loro ordine, oltre
alla licenza dei loro superiori, sono tenuti ad avere anche quella del vescovo;
senza di essa, non potranno in nessun caso predicare nelle chiese che non sono
del loro ordine (43). Questa licenza i vescovi la concedano gratuitamente.
15. Se un predicatore seminasse errori o scandali in mezzo al popolo, anche
se predica in un monastero del proprio o di un altro ordine, il vescovo gli
proibisca la predicazione. Se predicasse delle eresie proceda contro di lui
secondo il diritto o l’uso del luogo, anche se il predicatore pretendesse di
essere esente per un privilegio generale o speciale. In questo caso il vescovo
proceda con autorità apostolica e come delegato della sede apostolica. I
vescovi impediscano che un predicatore sia molestato per false informazioni o
comunque calunniosamente, e che possa a giusto motivo di lamentarsi di essi.
16. I vescovi inoltre abbiano cura che nessuno dei regolari viva fuori del
convento e dell’obbedienza del proprio ordine, o che un sacerdote secolare (a
meno che sia loro noto e possano approvarne i costumi e la dottrina) predichi
nella loro città o diocesi, anche col pretesto di qualsiasi privilegio, fino a
quando dagli stessi vescovi non sia stata consultata a questo proposito la
santa sede apostolica, da cui, a meno che non si sia taciuta la verità o non si
sia detta una menzogna, è difficile che gli immeritevoli possano estorcere tali
privilegi.
17. I raccoglitori di elemosine (44), che con espressione popolare, sono
detti ‘questuantl’, di qualsiasi condizione essi
siano, non presumano in nessun modo di poter predicare, sia personalmente, che
per mezzo di altri. Chi facesse il contrario, ne sia assolutamente impedito con
opportuni rimedi dai vescovi e dagli ordinari dei luoghi, non ostante qualsiasi
privilegio.
Decreto di indizione della futura sessione.
Questo sacrosanto sinodo stabilisce e determina che la futura sessione si
tenga e celebri il giovedì, feria quinta dopo la festa di S. Giacomo apostolo.
SESSIONE VI (13 gennaio I547)
Decreto sulla giustificazione
Proemio
In questi anni è stata divulgata con grave danno per molte anime e per
l’unità della chiesa, una dottrina erronea sulla giustificazione. Perciò questo
sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, riunito legittimamente
nello Spirito santo, a lode e gloria di Dio onnipotente, per la tranquillità
della chiesa e per la salvezza delle anime, sotto la presidenza dei
reverendissimi signori Gianmaria del Monte, cardinale vescovo di Palestrina,
Marcello Cervini, cardinale presbitero del titolo di S. Croce in Gerusalemme,
cardinali della santa chiesa romana, e legati apostolici de latere, a
nome del nostro santissimo padre in Cristo e signore Paolo III, per divina
provvidenza papa, intende esporre a tutti i fedeli cristiani la vera e sana
dottrina sulla giustificazione che Gesù Cristo, sole di giustizia (45), autore
e perfezionatore della nostra fede (46), ha insegnato che gli apostoli hanno
trasmesso e che la chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito santo,
ha sempre ritenuto. E proibisce assolutamente che, d’ora innanzi, qualcuno osi
credere, predicare e insegnare diversamente da quello che col presente decreto
si stabilisce e si dichiara.
Capitolo I.
L’impotenza della natura e della legge a giustificare gli uomini.
Prima di tutto il santo sinodo dichiara che, per una
conoscenza esatta e corretta della dottrina della giustificazione, è
necessario che ognuno riconosca e confessi che tutti gli uomini, perduta
l’innocenza per la prevaricazione di Adamo, fatti immondi (47) e (come dice
l’apostolo) per natura figli dell’ira (48), come ha esposto nel decreto
sul peccato originale, erano talmente servi del peccato (49) e sotto il potere
del diavolo e della morte, che non solo i gentili con le forze della natura, ma
neppure i Giudei con l’osservanza della lettera della legge di Mosè potevano
esserne liberati e risollevati, anche se in essi il libero arbitrio non era
affatto estinto, ma solo attenuato e indebolito.
Capitolo II.
L’economia della salvezza e il mistero della venuta di Cristo.
Perciò il Padre celeste, padre delle misericordie e Dio di ogni
consolazione (50), quando giunse quella beata pienezza dei tempi (51),
mandò agli uomini Gesù Cristo, suo figlio, annunciato e promesso, sia prima
della legge, sia durante il tempo della legge da molti santi padri, affinché
riscattasse i Giudei, che erano sotto la legge (52), e i gentili i
quali non cercavano la giustizia, ottenessero la giustizia (53); e tutti
ricevessero l’adozione di figli (54). Questo Dio ha posto quale propiziatore
mediante la fede nel suo sangue (55), per i nostri peccati, e non solo
per i nostri, ma anche per quelli di tutto l’universo (56).
Capitolo III.
Chi sono i giustificati da Gesù Cristo.
Ma benché egli sia risorto per tutti (57), tuttavia non tutti
ricevono il beneficio della sua morte, ma solo quelli cui viene comunicato il
merito della sua passione.
Come infatti gli uomini, in concreto, se non nascessero dalla discendenza
del seme di Adamo, non nascerebbero ingiusti, proprio perché con questa
propagazione, quando vengono concepiti, contraggono da lui la propria
ingiustizia: così se essi non rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai
essere giustificati, proprio perché con quella rinascita viene attribuita loro,
per il merito della sua passione la grazia per cui diventano giusti.
Per questo beneficio l’apostolo ci esorta a rendere sempre grazie al
Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla eredità dei santi nella luce,
che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del
Figlio del suo amore, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei
peccati (58).
Capitolo IV.
Descrizione della giustificazione dell’empio.
Suo modo sotto la grazia.
Queste parole indicano chiaramente che la giustificazione dell’empio è il
passaggio dallo stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato
di grazia e di adozione dei figli di Dio (59), per mezzo del secondo Adamo,
Gesù Cristo, nostro Salvatore. Questo passaggio, dopo la promulgazione del
Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il
desiderio di esso, conformemente a quanto sta scritto: Se uno non rinascerà
per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (60).
Capitolo V.
Necessità degli adulti di prepararsi alla giustificazione, e da dove essa
scaturisce.
Dichiara ancora il concilio che negli adulti l’inizio della stessa
giustificazione deve prender la mosse dalla grazia preveniente di Dio, per
mezzo di Gesù Cristo, cioè della chiamata, che essi ricevono senza alcun loro
merito, di modo che quelli che coi loro peccati si erano allontanati da Dio,
disposti dalla sua grazia, che sollecita ed aiuta, ad orientarsi verso la loro
giustificazione, accettando e cooperando liberamente alla stessa grazia, così
che, toccando Dio il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo,
l’uomo non resti assolutamente inerte subendo quella ispirazione, che egli può
anche respingere, né senza la grazia divina possa, con la sua libera volontà,
rivolgersi alla giustizia dinanzi a Dio.
Perciò quando nelle sacre scritture si dice: Convertitevi a me, ed io mi
rivolgerò a voi (61), si accenna alla nostra libertà e quando rispondiamo: Facci
tornare, Signore, a te e noi ritorneremo (62), noi confessiamo di essere
prevenuti dalla grazia di Dio.
Capitolo VI.
Il modo di prepararsi.
Gli uomini si dispongono alla stessa giustizia, quando, eccitati ed aiutati
dalla grazia divina, ricevendo la fede mediante l’ascolto (63), Si volgono
liberamente verso Dio, credendo vero ciò che è stato divinamente rivelato e
promesso, e specialmente che l’empio viene giustificato da Dio col dono della
sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (64). Parimenti
accade quando, riconoscendo di essere peccatori, scossi dal timore della divina
giustizia passano a considerare la misericordia di Dio e sentono nascere in sé
la speranza, confidando che Dio sarà loro propizio a causa del Cristo, e
cominciano ad amarlo come fonte di ogni giustizia; e si rivolgono, quindi,
contro il peccato con odio e detestazione, cioè con quella penitenza, che
bisogna fare prima del battesimo; infine si propongono di ricevere il
battesimo, di cominciare una nuova vita e di osservare i comandamenti divini.
Di questo atteggiamento sta scritto: È necessario che chiunque nascosta
Dio, creda che egli esiste e che ricompensa quelli che lo cercano (65); e: Confida,
figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati (66); come pure: Il timore del
Signore scaccia il peccato (67); e: Fate penitenza e ciascuno di voi sia
battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati e riceverete
il dono dello Spirito santo (68); e: Andate dunque e istruite tutte le
nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito santo,
insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (69) Finalmente: Rivolgete al Signore i vostri cuori (70).
Capitolo VII.
Cosa è la giustificazione del peccatore e quali le sue cause.
A questa disposizione o preparazione segue la stessa giustificazione. Essa
non è solo remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento
dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione volontaria della grazia e dei
doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto, e da nemico amico, così da
essere erede secondo la speranza della vita eterna (71).
Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la gloria di Dio e del
Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia di Dio, che
gratuitamente lava (72) e santifica, segnando ed ungendo (73) con lo Spirito
della promessa, quello santo che è pegno della nostra eredità (74);
causa meritoria è il suo dilettissimo unigenito e signore nostro Gesù Cristo,
il quale, pur essendo noi suoi nemici (75), per l’infinito amore con cui ci
ha amato (76), ci ha meritato la giustificazione con la sua santissima
passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre. Causa
strumentale è il sacramento del battesimo, che è il sacramento della fede (77),
senza la quale a nessuno, mai, viene concessa la giustificazione. Finalmente,
unica causa formale è la giustizia di Dio, non certo quella per cui egli è giusto,
ma quella per cui ci rende giusti; con essa, cioè per suo dono, veniamo
rinnovati interiormente nello spirito (78), e non solo veniamo considerati
giusti, ma siamo chiamati tali e lo siamo di fatto (79), ricevendo in noi
ciascuno la propria giustizia, nella misura in cui lo Spirito santo la
distribuisce ai singoli come vuole (80) e secondo la disposizione e la
cooperazione propria di ciascuno.
Quantunque infatti nessuno possa esser giusto, se non colui al quale
vengono comunicati i menti della passione del signore nostro Gesù Cristo, ciò,
tuttavia, in questa giustificazione del peccatore, si opera quando, per mento
della stessa santissima passione, l’amore di Dio viene diffuso mediante lo
Spirito santo nei cuori (81) di coloro che sono giustificati e inerisce loro.
Per cui nella stessa giustificazione l’uomo, con la remissione dei peccati,
riceve insieme tutti questi doni per mezzo di Gesù Cristo nel quale è
innestato: la fede, la speranza e la carità. Infatti la fede, qualora non si
aggiungano ad essa la speranza e la carità, non unisce perfettamente a Cristo
né rende membra vive del suo corpo. Per questo motivo è assolutamente vero
affermare che la fede senza le opere è morta ed inutile (82) e che in Cristo
non valgono né la circoncisione, né la incirconcisione,
ma la fede operante per mezzo della carità (83).
Questa fede, secondo la tradizione apostolica, chiedono i catecumeni alla
chiesa prima del sacramento del battesimo quando chiedono la fede che dà la
vita eterna, che la fede non può garantire senza la speranza e la carità. È per
questo che essi ascoltano subito la parola di Cristo: Se vuoi entrare nella
vita, osserva i comandamenti (84). Perciò a chi riceve lo vera giustizia
cristiana, non appena rinato viene comandato di conservare candida e senza
macchia la prima stola, donata loro da Gesù Cristo in luogo di quella che Adamo
ha perso con la sua disobbedienza per sé e per noi. Essi dovranno portarla
dinanzi al tribunale del signore nostro Gesù Cristo per avere la vita eterna
(85).
Capitolo VIII.
Come si debba intendere che il peccatore è giustificato per la fede e
gratuitamente.
Quando poi l’apostolo dice che l’uomo viene giustificato per la fede (86) e
gratuitamente (87), queste parole si devono intendere secondo l’interpretazione
accettata e manifestata dal concorde e permanente giudizio della chiesa
cattolica e cioè che siamo giustificati mediante la fede, perché la fede è il
principio dell’umana salvezza, il fondamento e la radice di ogni
giustificazione, senza la quale è impossibile piacere a Dio (88),
giungere alla comunione (89) che con lui hanno i suoi figli. Si dice poi che
noi siamo giustificati gratuitamente, perché nulla di ciò che precede la
giustificazione - sia la fede che le opere - merita la grazia della
giustificazione, se infatti è per grazia, non è per le opere; o altrimenti (come dice lo stesso apostolo (90)) la grazia non sarebbe più grazia.
Capitolo IX.
Contro la vana fiducia degli eretici.
Quantunque sia necessario credere che i peccati non vengano rimessi, né
siano stati mai rimessi, se non gratuitamente dalla divina misericordia a
cagione del Cristo: deve dirsi, tuttavia, che a nessuno che ostenti fiducia e
certezza della remissione dei propri peccati e che si abbandoni in essa
soltanto, vengono rimessi o sono stati rimessi i peccati, mentre fra gli
eretici e gli scismatici potrebbe esservi, anzi vi è, in questo nostro
tempo, e viene predicata con grande accanimento contro la chiesa cattolica
questa fiducia vana e lontana da ogni vera pietà.
Ma neppure si può affermare che sia necessario che coloro che sono stati
realmente giustificati, debbano credere assolutamente e senza alcuna
esitazione, dentro di sé, di essere giustificati; e che nessuno venga assolto
dai peccati e giustificato, se non chi crede fermamente di essere assolto e
giustificato e che l’assoluzione e la giustificazione sia operata per questa
sola fede, quasi che chi non credesse ciò, dubiti delle promesse di Dio e
dell’efficacia della morte e della resurrezione del Cristo.
Infatti come nessun uomo pio deve dubitare della misericordia di Dio, del
merito del Cristo, del valore e dell’efficacia dei sacramenti, così ciascuno
nel considerare se stesso, la propria debolezza e le sue cattive disposizioni,
ha motivo di temere ed aver paura della sua grazia, non potendo alcuno sapere
con certezza di fede, scevra di falso, se ha conseguito la grazia di Dio.
Capitolo X.
L’aumento della grazia ricevuta.
Gli uomini così giustificati e divenuti amici e familiari di Dio (91), progredendo
di virtù in virtù (92), si rinnovano (come dice l’apostolo (93)) di giorno
in giorno, mortificando, cioè, le membra del proprio corpo (94) e mostrandole
come armi di giustizia per la santificazione (95), attraverso l’osservanza dei
comandamenti di Dio e della chiesa: nella stessa giustizia ricevuta per la
grazia di Cristo, con la cooperazione della fede alle buone opere, essi
crescono e vengono resi sempre più giusti, come è scritto: Chi è giusto,
continui a compiere atti di giustizia (96), ed ancora: Non aspettare
fino alla morte a giustificarti (97), e di nuovo: Voi dunque vedete che
l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla fede soltanto (98). Questo
aumento della giustizia chiede la santa chiesa quando prega: Dacci, o
Signore, un aumento di fede, di speranza e di carità (99).
Capitolo XI.
Dell’osservanza dei comandamenti e della sua necessità e possibilità.
Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero
dall’osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione
temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica (100), esser cioè
impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio,
infatti, non comanda l’impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare
quello che puoi (101) e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu
possa: i suoi comandamenti non sono gravosi (102), il suo giogo è soave e il
peso leggero (103).
Quelli infatti che sono figli di Dio, amano Cristo e quelli che lo amano
(come dice lui stesso (104)) osservano le sue parole, cosa che con l’aiuto di
Dio certamente possono fare. Quantunque infatti in questa vita mortale, per
quanto santi e giusti, qualche volta essi cadono almeno in mancanze leggere e
quotidiane, che si dicono anche veniali, non per questo cessano di essere
giusti. Ed è propria dei giusti l’espressione, umile e verace: Rimetti a noi
i nostri debiti (105).
Deriva da ciò, che gli stessi giusti debbano sentirsi tanto maggiormente
obbligati a camminare per la via della giustizia, quanto più, liberi già dal peccato e fatti schiavi di Dio (106), vivendo con moderazione,
giustizia e pietà (107), possono progredire per mezzo di Gesù Cristo,
mediante il quale ebbero accesso a questa grazia (108). Dio infatti non
abbandona con la sua grazia quelli che una volta ha giustificato, a meno che
prima non sia abbandonato da essi (109).
Nessuno quindi deve cullarsi nella sola fede, credendo di essere stato
costituito erede e di conseguire l’eredità per la sola fede, anche senza
soffrire con Cristo per poi esser con lui glorificato (110). Cristo stesso,
infatti, come dice l’apostolo, sebbene fosse Figlio, imparò, da ciò che
sofferse, l’obbedienza; sicché reso perfetto, divenne principio di eterna
salvezza per tutti quelli che gli obbediscono (111). Per questo lo stesso
apostolo ammonisce quelli che sono stati giustificati, dicendo: Non sapete
che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Io
dunque corro, ma non come chi è senza meta, faccio il pugilato, ma non come chi
batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù
perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso
squalificato (112).
Ugualmente Pietro principe degli apostoli, dice: Adoperatevi sempre più
per rendere sicura la vostra vocazione e la vostra elezione; poiché facendo
questo voi mai peccherete (113).
Deriva da ciò, che sono in contrasto con la dottrina della vera religione
quelli che dicono che il giusto pecca, almeno venialmente, in ogni opera buona
(114); o (cosa ancora più insostenibile) che merita le pene eterne. E sono pure
in contrasto quelli che sostengono che in tutte le opere buone i giusti
peccano, se, eccitando in quelle la loro pigrizia ed esortando se stessi a
correre nello stadio, insieme anzitutto con la gloria di Dio, essi guardano
anche al premio eterno poiché sta scritto: Ho piegato il mio cuore ad
osservare i tuoi precetti, per la ricompensa (115). E di Mosè l’apostolo
(116) dice che tendeva alla ricompensa.
Capitolo XII.
Bisogna evitare la presunzione temeraria della predestinazione.
Nessuno, inoltre, fino che vivrà in questa condizione mortale, deve
presumere talmente del mistero segreto della divina predestinazione, da
ritenere per certo di essere senz’altro nel numero dei predestinati (117),
quasi fosse vero che chi è stato giustificato o non possa davvero più peccare,
o se anche peccasse, debba ripromettersi un sicuro ravvedimento. Infatti non si
possono conoscere quelli che Dio si è scelti se non per una speciale
rivelazione.
Capitolo XIII.
Del dono della perseveranza.
Similmente, per quanto riguarda il dono della perseveranza, di cui sta
scritto: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo (118)
(dono che non si può avere se non da chi ha tanta potenza da mantenere in piedi
colui che già vi è (119), perché perseveri, e da riporvi colui che cade),
nessuno si riprometta qualche cosa con assoluta certezza, quantunque tutti
debbano nutrire e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio. Dio infatti se
essi non vengono meno alla sua grazia, come ha cominciato un’opera buona, così
la perfezionerà (120), suscitando il volere e l’operare (121).
Tuttavia quelli che credono di esser in piedi, guardino di non cadere
(122), e lavorino per la propria salvezza con timore e tremore (123), nelle
fatiche, nelle veglie, nelle elemosine, nelle preghiere e nelle offerte, nei
digiuni e nella castità (124). Proprio perché sanno di essere rinati alla
speranza della gloria (125), e non ancora alla gloria, devono temere per la
battaglia che ancora rimane contro la carne, contro il mondo, contro il
diavolo, nella quale non possono riuscire vincitori, se non si atterranno con
la grazia di Dio, alle parole dell’apostolo: Noi siamo debitori, ma non
verso la carne, da dovere vivere secondo la carne. Se vivete secondo la carne,
morrete; se invece per mezzo dello Spirito fate morire le azioni del corpo, vivrete (126).
Capitolo XIV.
Di quelli che cadono e della loro riparazione.
Quelli poi che col peccato sono venuti meno alla grazia della
giustificazione, potranno nuovamente essere giustificati, se procureranno,
sotto l’ispirazione di Dio, di recuperare la grazia perduta attraverso il
sacramento della penitenza, per merito del Cristo. Questo modo di essere
giustificato consiste nella riparazione di colui che è caduto; quella
riparazione che i santi padri chiamarono, con espressione adatta, la seconda
tavola dopo il naufragio della grazia perduta (127). Infatti, per quelli che
cadono in peccato dopo il battesimo, Gesù Cristo ha istituito il sacramento
della penitenza, quando disse: Ricevete lo Spirito santo. A chi rimetterete
i peccati saranno loro rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti (128).
Bisogna quindi, insegnare che la penitenza del cristiano dopo la caduta è
di natura molto diversa da quella del battesimo e che essa comporta non solo la
cessazione dai peccati e la loro detestazione, cioè un cuore contrito ed
umiliato (129), ma anche la confessione sacramentale dei medesimi, almeno
nel desiderio e da farsi a suo tempo e l’assoluzione del sacerdote; e così pure
la soddisfazione col digiuno, con le elemosine, con le orazioni e con le altre
pie pratiche della vita spirituale, non certo per la pena eterna, che è rimessa
con la colpa mediante il sacramento o il desiderio del sacramento, ma per la
pena temporale, che (come insegna la sacra scrittura) non sempre viene
totalmente rimessa, come nel battesimo, a quelli che, ingrati verso la grazia
di Dio, che hanno ricevuto, contristarono lo Spirito santo (130), ed osarono
violare (131) il tempio del Signore.
Di questa penitenza sta scritto: Ricordati dunque da dove sei caduto,
ravvediti e compi le opere di prima (132). Ed inoltre: La tristezza che
è secondo Dio, produce un pentimento salutare che non si rimpiange, perché
conduce a salvezza (133). E di nuovo: Ravvedetevi (134); e: Fate
degni frutti di penitenza (135).
Capitolo XV.
Con qualunque peccato mortale si perde la grazia, ma non la fede.
Contro le maligne insinuazioni di certi spiriti, i quali con parole
dolci e seducenti ingannano i cuori dei semplici (136), bisogna affermare
che non solo con l’infedeltà, per cui si perde la stessa fede, ma anche con qualsiasi
altro peccato mortale, sebbene non si perda la fede, si perde però la grazia
della giustificazione. Con ciò difendiamo l’insegnamento della legge divina,
che esclude dal regno di Dio non soltanto gli infedeli, ma anche i fedeli
impuri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, maledici,
rapaci e tutti gli altri che commettono peccati mortali, da cui con l’aiuto
della grazia potrebbero astenersi (137) e a causa dei quali vengono separati
dalla grazia del Cristo (138).
Capitolo XVI.
Del frutto della giustificazione, ossia del merito delle buone opere, e del
modo ai questo merito.
Ora agli uomini giustificati in questo modo, sia che abbiano sempre
conservato la grazia ricevuta, sia che, dopo averla perduta, l’abbiano
recuperata si devono proporre le parole dell’apostolo: Abbondate in ogni
opera buona, sapendo che il vostro lavoro nel Signore non è vano (139). Egli
infatti non è ingiusto e non dimentica ciò che avete fatto, né l’amore che
avete dimostrato per il suo nome (140). E: non abbandonate dunque la
vostra fiducia, alla quale è riservata una grande ricompensa (141).
Perciò a quelli che operano bene fino alla fine (142) e sperano in Dio deve
proporsi la vita eterna, sia come grazia promessa misericordiosamente ai figli
di Dio per i meriti del Cristo Gesù, sia come ricompensa da darsi fedelmente,
per la promessa di Dio stesso, alle loro opere buone e ai loro meriti. Questa è
infatti quella corona di giustizia che, dopo la sua lotta e la sua corsa,
l’apostolo diceva essere stata messa da parte per lui e che gli sarebbe stata
data dal giusto giudice, e non a lui solo, ma anche a tutti quelli che amano la
sua venuta (143).
Poiché infatti lo stesso Gesù Cristo, come il capo nelle membra e la vite
nei tralci (144), trasfonde continuamente la sua virtù in quelli che sono
giustificati, virtù che sempre precede, accompagna e segue le loro opere buone,
e senza la quale non potrebbero in alcun modo piacere a Dio ed esser meritorie,
si deve credere che niente altro manchi agli stessi giustificati, perché si
dica che essi, con le opere che hanno compiuto in Dio (145), hanno pienamente
soddisfatto alla legge divina, per quanto possibile in questa vita, e che hanno
veramente meritato di ottenere a suo tempo la vita eterna (se tuttavia
moriranno in grazia (146)). Dice, infatti, il Cristo, nostro Salvatore: Chi
berrà l’acqua che gli darò io, non avrà più sete in eterno; ma l’acqua che gli
darò, diventerà in lui sorgente di acqua zampillante per la vita eterna (147).
In tal modo né si esalta la nostra giustizia come se provenisse proprio da
noi (148), né si pone in ombra o si rifiuta la giustizia di Dio (149). Infatti
quella giustizia che si dice nostra, perché inerente a noi ci giustifica, è
quella stessa di Dio, perché ci viene infusa da Dio per i meriti del Cristo.
Né si deve trascurare che, quantunque nelle sacre Scritture si dia tanta
importanza alle opere buone, che perfino a chi ha dato a uno dei suoi piccoli
un bicchiere d’acqua fresca Cristo promette che non resterà senza ricompensa
(150), e l’apostolo testimoni: la nostra presente tribolazione momentanea e
leggera ci procura un incommensurabile e eterno cumulo di gloria (151), mai
un cristiano deve confidare o gloriarsi di se stesso e non nel Signore (152),
il quale è talmente buono verso tutti gli uomini, da volere che diventino loro
meriti, quelli che sono suoi doni (153).
E poiché tutti pecchiamo in molte maniere (154), ciascuno deve avere
dinanzi agli occhi con la misericordia e la bontà anche la severità e il
giudizio, né alcuno deve giudicare se stesso, anche se non fosse consapevole di
nessuna colpa (155) poiché tutta la vita degli uomini deve essere esaminata e
giudicata non secondo il giudizio umano, ma secondo quello di Dio, il quale
illuminerà i segreti Più occulti, e renderà manifesti i consigli dei cuori; e
allora ciascuno avrà da Dio la sua lode (156); che, come sta scritto, renderà
a ciascuno secondo le sue opere (157).
Dopo questa dottrina cattolica della giustificazione, - e nessuno potrà
essere giustificato se non l’accetterà fedelmente e fermamente (158) -, è
sembrato opportuno al santo sinodo aggiungere i seguenti canoni, perché ognuno
sappia non solo quello che deve credere e seguire, ma anche quello che dovrà
evitare e fuggire.
CANONI SULLA GIUSTIFICAZIONE
1. Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio
dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento
della legge, senza la grazia divina meritata da Gesù Cristo: sia anatema.
2. Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesù Cristo viene
data solo perché l’uomo possa più facilmente vivere giustamente e meritare la
vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare
l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.
3. Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello
Spirito santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene,
perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anatema.
4. Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da
Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove
e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può
dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si
comporta del tutto passivamente: sia anatema.
5. Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di
Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza
contenuto e finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema.
6. Se qualcuno afferma che non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue
vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma
anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua
propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.
7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione,
in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di
Dio, e che quanto più uno si sforza di disporsi alla grazia tanto più
gravemente pecca: sia anatema.
8. Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci
dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è
peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema.
9. Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da
intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento
della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli
si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.
10. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia
del Cristo mediante la quale egli ha meritato per noi, o che essi sono
formalmente giusti proprio per essa: sia anatema.
11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola
imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati,
senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito
santo (159) e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo
giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.
12. Se qualcuno afferma che la fede giustificante non è altro che la
fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o
che questa fiducia sola giustifica: sia anatema.
13. Chi afferma che per conseguire la remissione dei peccati è necessario
che ogni uomo creda con certezza e senza alcuna esitazione della propria
infermità e indisposizione, che i peccati gli sono rimessi: sia anatema.
14. Se qualcuno afferma che l’uomo è assolto dai peccati e giustificato per
il fatto che egli crede con certezza di essere assolto e giustificato, o che
nessuno è realmente giustificato, se non colui che crede di essere
giustificato, e che l’assoluzione e la giustificazione venga operata per questa
sola fede: sia anatema.
15. Se qualcuno afferma che l’uomo rinato e giustificato è tenuto per fede
a credere di essere certamente nel numero dei predestinati: sia anatema.
16. Se qualcuno dice, con infallibile e assoluta certezza, che egli avrà
certamente il grande dono della perseveranza finale (l60) (a meno che non sia
venuto a conoscere ciò per una rivelazione speciale): sia anatema.
17. Se qualcuno afferma che la grazia della giustificazione viene concessa
solo ai predestinati alla vita, e che tutti gli altri sono bensì chiamati, ma
non ricevono la Grazia, in quanto predestinati al male per divino volere: sia
anatema.
18. Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in
grazia i comandamenti di Dio sono impossibili ad osservarsi, sia anatema.
19. Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che
le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i
dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema.
20. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia
non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della chiesa, ma solo a
credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta
promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti:
sia anatema.
21. Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio
come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire:
sia anatema.
22. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato può perseverare nella
giustizia ricevuta senza uno speciale aiuto di Dio, o non lo può nemmeno con
esso: sia anatema.
23. Se qualcuno afferma che l’uomo, una volta giustificato, non può più
peccare, né perdere la grazia, e che quindi chi cade e pecca, in realtà non mai
è stato giustificato; o, al contrario, che si può per tutta la vita evitare
ogni peccato, anche veniale, senza uno speciale privilegio di Dio, come la
chiesa ritiene della beata Vergine: sia anatema.
24. Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata ed
anche aumentata dinanzi a Dio con le opere buone, ma che queste sono solo
frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa del suo
aumento: sia anatema.
25. Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno
venialmente, o (cosa ancor più intollerabile) mortalmente, e quindi merita le
pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli imputa a
dannazione quelle opere: sia anatema.
26. Se qualcuno afferma che i giusti non devono aspettare e sperare da Dio
- per la sua misericordia e per tutti i meriti di Gesù Cristo - l’eterna
ricompensa in premio delle buone opere che essi hanno compiuto in Dio (161),
qualora, agendo bene ed osservando i divini comandamenti, abbiano perseverato
fino alla fine: sia anatema.
27. Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della
mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può esser perduta
con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della
mancanza di fede: sia anatema.
28. Se qualcuno afferma che, perduta la grazia col peccato, si perde sempre
insieme anche la fede, o che la fede che rimane non è vera fede, in quanto non
è viva (162), o che colui che ha la fede senza la carità, non è cristiano: sia
anatema.
29. Se qualcuno afferma che chi dopo il battesimo è caduto nel peccato non
può risorgere con la grazia di Dio; o che può recuperare la grazia perduta, ma
per la sola fede, senza il sacramento della penitenza, come la santa chiesa
romana e universale, istruita da Cristo signore e dai suoi apostoli, ha finora
creduto, osservato e insegnato: sia anatema.
30. Se qualcuno afferma che, dopo aver ricevuto la grazia della
giustificazione, a qualsiasi peccatore pentito viene rimessa la colpa e
cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimanga alcun
debito di pena temporale da scontare sia in questo mondo sia nel futuro in
purgatorio, prima che possa essergli aperto l’ingresso al regno dei cieli: sia
anatema.
31. Se qualcuno afferma che colui che è giustificato pecca, quando opera
bene in vista della eterna ricompensa: sia anatema.
32. Se qualcuno afferma che le opere buone dell’uomo giustificato sono doni
di Dio, così da non essere anche meriti di colui che è giustificato, o che
questi con le buone opere da lui compiute per la grazia di Dio e i meriti di
Gesù Cristo (di cui è membro vivo), non merita realmente un aumento di grazia,
la vita eterna e il conseguimento della stessa vita eterna (posto che muoia in
grazia) ed anche l’aumento della gloria: sia anatema.
33. Se qualcuno afferma che con questa dottrina cattolica della
giustificazione, espressa dal santo sinodo col presente decreto, si riduce in
qualche modo la gloria di Dio o i meriti di Gesù Cristo nostro signore, e non
piuttosto si manifesta la verità della nostra fede e infine la gloria di Dio e
di Gesù Cristo: sia anatema.
Decreto sulla residenza dei vescovi e degli altri chierici inferiori
Capitolo I.
Lo stesso sacrosanto sinodo, sotto la presidenza degli stessi legati della
sede apostolica, volendo accingersi a ristabilire la disciplina ecclesiastica
assai rilassata e a correggere i corrotti costumi del clero e del popolo
cristiano, ha creduto di incominciare da quelli che sono a capo delle chiese
più importanti: "l’onesta di chi presiede, infatti, è la salvezza dei
sudditi" (l63).
Confidando quindi che, per la misericordia del Signore e Dio nostro e per
la provvida diligenza del vicario in terra dello stesso Dio, possa senz’altro
avvenire che, secondo le venerande prescrizioni dei beati padri (164), al
governo delle chiese (peso che gli angeli stessi temerebbero) vengano assunte
persone assolutamente degne, la cui vita precedente in ogni loro età, dagli
anni della fanciullezza a quelli più maturi, passata lodevolmente negli
esercizi della disciplina ecclesiastica, renda loro testimonianza: questo santo
Sinodo ammonisce e vuole che siano ammoniti tutti quelli che per qualsiasi
motivo e titolo sono a capo di chiese patriarcali, primaziali, metropolitane e
cattedrali, perché vegliando su sé stessi e su tutto il gregge sul quale lo
Spirito santo li ha costituiti per pascere la chiesa del Signore, che egli si è
acquistato col suo sangue (165), siano vigilanti, come comanda l’apostolo
(166), lavorino con ogni zelo e assolvano il loro ministero.
Sappiano poi, che non potranno adempierlo in nessun modo se, come
mercenari, abbandoneranno i greggi loro affidati (167), e non attenderanno alla
custodia delle loro pecore, del cui sangue il giudice supremo chiederà conto
alle loro mani (168). È certissimo infatti che non sarà accettata alcuna scusa
per il pastore se il lupo ne divora le pecore e egli non se ne accorge.
E tuttavia, poiché in questo tempo si trovano molti (cosa davvero dolorosa)
che, immemori anche della propria salvezza, anteponendo le cose terrene alle
celesti e le umane alle divine, se ne vanno in giro per le corti, o
(abbandonato il gregge e trascurata la custodia delle pecore loro affidate)
sono immersi nella cura degli interessi temporali: è sembrato bene al
sacrosanto concilio rinnovare gli antichi canoni (169) (che per effetto dei
tempi e la trascuratezza degli uomini sono andati quasi in disuso) promulgati
contro i non residenti, cosa che esso fa in virtù del presente decreto ed
inoltre, per ottenere più efficacemente la residenza e la riforma dei costumi
nella chiesa, decide di stabilire e sancire nel modo che segue:
Se qualcuno, cessando il legittimo impedimento o i giusti e ragionevoli
motivi, dimorando fuori della sua diocesi per sei mesi continui sarà assente da
una chiesa patriarcale, primaziale, metropolitana, o cattedrale, a lui affidata
con qualsiasi titolo, causa, motivo, qualsiasi dignità, grado e preminenza egli
abbia, ipso iure incorra nella pena di una quarta parte dei frutti di un
anno, da destinarsi dal superiore ecclesiastico alla manutenzione della chiesa
e ai poveri del luogo. Se poi l’assenza si prolunga per altri sei mesi, perda
per ciò stesso un’altra quarta parte dei frutti da destinarsi allo stesso
scopo. Prolungandosi la contumacia, perché essa sia assoggettata ad una più
severa censura dei sacri canoni, il metropolita sia obbligato, entro tre mesi,
a denunziare per lettera o per mezzo di un incaricato, al romano pontefice i
vescovi suffraganei assenti; il suffraganeo più anziano residente sia obbligato
a denunziare il metropolita assente: ciò sotto pena di interdetto dall’ingresso
della chiesa, in cui si incorre ipso facto. Il romano pontefice, poi con
l’autorità della sede suprema potrà prendere contro questi assenti i
provvedimenti che la loro maggiore o minore contumacia richiede e provvedere
alle stesse chiese con dei pastori più diligenti come giudicherà più
conveniente e salutare nel Signore.
Capitolo II.
Quelli di dignità inferiore ai vescovi che abbiano in titolo o in commenda
qualsiasi beneficio ecclesiastico, che richieda, per prescrizione del diritto o
per consuetudine, la residenza personale, siano costretti dai loro ordinari con
gli opportuni rimedi giuridici alla residenza (nel modo che a loro sembrerà
opportuno, per il buon governo delle chiese e per l’aumento del culto divino,
tenendo conto della qualità dei luoghi e delle persone) senza che qualcuno sia
favorito da privilegi o indulti perpetui che concedano di non risiedere o di percepire
i frutti durante l’assenza (170).
Gli indulti, tuttavia, e le dispense temporanee, solo se concessi per
motivi veri e ragionevoli, che devono essere legittimamente dimostrati davanti
all’ordinario rimarranno in vigore. In questi casi, però, sarà dovere dei
vescovi (considerandosi in ciò legati della sede apostolica) provvedere perché
con la nomina di vicari adatti e l’assegnazione di una giusta parte dei frutti,
non venga trascurata (171) in nessun modo la cura delle anime, senza che alcuno
possa esser favorito da questo privilegio o esenzione.
Capitolo III.
I prelati delle chiese attendano con prudenza e diligenza alla correzione
delle mancanze dei loro sudditi e nessun chierico secolare, invocando un
privilegio personale, o nessun religioso che viva fuori del monastero, anche
col pretesto che il suo ordine ne abbia il privilegio, si creda sicuro se
commettesse un fallo di non essere visitato, punito e corretto dall’ordinario
del luogo (come delegato della sede apostolica) secondo le sanzioni canoniche.
Capitolo IV.
I capitoli cattedrali e delle altre chiese maggiori e le persone che li
compongono per nessuna esenzione, consuetudine, sentenza, giuramento, accordo
(che, del resto, obbligherebbero solo quelli che ne sono gli autori e non i
successori) potranno credersi al sicuro dal poter essere visitati, corretti ed
emendati, anche con autorità apostolica, dai loro vescovi e da altri prelati
maggiori - da soli o con altri, come a loro sembrerà - secondo le sanzioni
canoniche, tutte le volte che sembri loro opportuno.
Capitolo V.
A nessun vescovo sia lecito, col pretesto di qualsiasi privilegio,
esercitare il proprio ufficio episcopale nella diocesi di un altro vescovo,
senza espressa licenza dell’ordinario del luogo, e solo sulle persone soggette
allo stesso ordinario; se agisse diversamente, il vescovo sia ipso iure sospeso dall’esercizio delle sue funzioni pontificali e quelli che sono stati
ordinati, dall’esercizio del loro ministero.
Indizione della futura sessione.
Reverendissimi e reverendi padri, credete bene che la prossima futura
sessione possa esser celebrata il giovedì, feria quinta dopo la prima domenica
della prossima quaresima, che cadrà il giorno 3 di marzo? Risposero: sì.
Note
1. Gc 1. 17.
2. Gc 1. 5.
3. Sal 110, 10; Eccli (Sir) 1, 16; Pr 1, 7; 9, 10
4. Gal 5, 16; cfr. 1 Pt 2, 11.
5. 1 Tm 2, 1.
6. 1 Tm 2, 2.
7. 1 Tm 3, 2 e 4.
8. Cfr. Gv 1, 9.
9. Rm 15, 6.
10. Conc. Toletano XI (675), c. I (Msi 11,
137).
11. Ef 6, 12.
12. Ef 6, 10, 16. I7.
13. Mt 16, 18.
14. Cfr. Ger 31, 22 segg.; Is 53, 1; 55, 5; 61, 1 e altri.
15. Cfr. Mt 28, 19 e 20; Mr 16, 15
segg.
16. Cfr. II Ts 2, 14.
17. Conc. Lateranense V, sess.
X (COD. 632-633).
18. Eb 11, 6.
19. Ef 4, 14.
20. Cfr. Ap 12, 9; 20, 2.
21. Eb 2, 14.
22. Rm 5, 12.
23. Cfr. Rm 5, 9-10.
24. 1 Cor 1, 30.
25. At 4, 12.
26. Gv 1, 29.
27. Gal 3, 27.
28. Rm 5, 12.
29. Gv 3, 5.
30. Cfr. AGOSTINO, Contra duas epistolas Pelagianorum I, 13 (26) (CSEL 60, 445).
31. Cfr. Rm 8, 1.
32. Cfr. Rm 6, 4.
33. Rm 8, 1 (solo nella vulgata).
34. Cfr. Col 3, 9-10; Ef 4, 24.
35. Rm 8, 17.
36. II Tm 2, 5.
37. Cfr. Rm 7, 14, I7, 20.
38. Cc. 1 e 2, III, 12, in Exstrav. comm. (Fr 2, 770); C. 12. D. XXXVII (Fr 1, 139).
39. Cfr. Statuta ecclesiae antiqua, c. 3 (Les Statuta ecclesiae antiqua, nuova ed. critica a cura di Ch. Munier, Paris, 1960, 79) che
corrisponde al c. 6 DLXXXVIII (Fr 1, 307).
40. Conc. Lateranense IV, c. 10.
41. Lam 4, 4.
42. Cfr. Conc. Lateranense V, sess.
XI (COD, 634-638).
43. Cfr. Conc. Lateranense IV, c. 3.
44. Cfr. Conc. Lateranense IV, c. 62; c. 11, V, 2, in
VI (Fr 2, 1074); c. 2, V, 9, in Clem.
(Fr. 2. 1190).
45. Cfr. Ml 3, 20 (4, 2, della Vulgata).
46. Cfr. Eb 12, 2.
47. Cfr. Is, 64, 6.
48. Ef 2, 3.
49. Cfr. Rm 6, 20.
50. II Cor 1, 3.
51. Cfr. Gal 4, 4.
52. Gal 4, 5.
53. Rm 9, 30.
54. Cfr. Gal 4, 5.
55. Rm 3, 25.
56. I Gv 2, 2.
57. II Cor 5, 15.
58. Col 1, 12-14
59. Cfr. Rm 8, 23.
60. Gv 3, 5.
61. Zc 1, 3.
62. Lm 5, 21.
63. Cfr. Rm 10, 17.
64. Rm 3, 24.
65. Eb 11, 6.
66. Mt 9, 2.
67. Ecli (Sir) 1, 27 (Vulgata), trad. it. 1, 21.
68. At 2, 38.
69. Mt 28, 19-20.
70. I Re 7, 3.
71. Tt 3, 7.
72. Cfr. I Cor 6, 11.
73. Cfr. II Cor 1, 21-22.
74. Ef 1, 13-14.
75. Cfr. Rm 5, 10.
76. Ef 2, 4.
77. Cfr. AGOSTINO, Ep. 98 ad Bonifatium, 9 (CSEL 34/2, 530 segg.).
78. Cfr. Ef 4, 23.
79. Cfr. I Gv 3, 1.
80. Cfr. I Cor 12, 11.
81. Cfr. Rm 5, 5.
82. Cfr. Gc 2, 17, 20.
83. Gal 5, 6.
84. Mt 19,17.
85. Cfr. Lc 15. 22; AGOSTINO, De genesi ad litt.,
VI. 27 (CSEL 28/1, 199); cfr. Rituale Romano per l'amministrazione del
battesimo.
86. Cfr. Rm 3, 28 e altri.
87. Cfr. Rm 3, 24.
88. Eb 11, 6.
89. II Pt 1, 4.
90. Rm 11, 6.
91. Cfr. Ef 2, 19.
92. Sal 83, 8.
93. Cfr. II Cor 4, 16.
94. Cfr. Col 3, 5.
95. Cfr. Rm 6, 13 e 19.
96. Ap 22, 11.
97. Ecli (Sir) 18, 22.
98. Gc 2, 24.
99. Nella preghiera della XIII domenica tra l'anno.
100. Cfr. tra gli altri il Conc. Arausicano II (529) dopo il c. 25 (Msi 8, 717).
101. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 43
(50) (CSEL 60, 270).
l02. Cfr. I Gv 5, 3.
103. Cfr. Mt 11, 30.
104. Cfr. Gv 14, 23.
105. Mt 6, I2.
106. Rm 6, 22.
107. Tt 2, 12.
108. Cfr. Rm 5, 2.
109. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 26
(29) (CSEL 60, 254) e anche altre volte in altre opere di Agostino.
110. Cfr. Rm 8, 17.
111. Eb 5, 8 e 9.
112. I Cor 9, 24, 26-27.
113. II Pt 1, 10.
114. Cfr. Bolla Exurge Domine,
art. 31 segg. (Dn 77I segg.).
115. Sal 118, 112.
116. Cfr. Eb 11, 26.
117. Cfr. AGOSTINO, De corrept. et gr., 15
(46) (PL 44, 944).
118. Mt 10, 22; 24, 13.
119. Cfr. Rm 14, 4.
120. Cfr. Fil 1, 6.
121. Cfr. Fil 2, 13.
122. Cfr. I Cor 10, 12.
123. Cfr. Fil 2, 12.
124. Cfr. II Cor 6, 5-6.
125. Cfr. I Pt 1, 3.
126. Rm 8, 12-13.
127. GEROLAMO. Ep 84, 6 e Ep 130, 9 (CSEL, 55, 128; 56, 189); TERTULLIANO, De Poenitentia,
c. 7 segg. (PL 1, 1241 segg.).
128. Gv 20, 22-23; cfr. Mt 16, 19.
129. Sal 50, 19.
130. Cfr. Ef 4, 30.
131. Cfr. I Cor 3, 17.
132. Ap 2, 5.
133. II Cor 7, 10.
134. Mt 3, 2; 4, 17.
135. Lc 3, 8; Mt 3, 8.
136. Rm 16, 18.
137. Cfr. II Cor 12, 9; Fil 4, 13.
138. Cfr. I Cor 6. 9-10; I Tm 1, 9-10.
139. I Cor 15, 58.
140. Eb 6, 10.
141. Eb 10, 35.
142. Mt 10, 22.
143. Cfr. II Tm 4, 7-8.
144. Cfr. Gv 15, 1 segg.
145. Cfr. Gv 3, 21.
146 Cfr. Ap 14, 13.
147. Gv 4, 13-14.
148. Cfr. II Cor 3, 5.
149. Cfr. Rm 10, 3.
150. Cfr. Mt 10, 42; Mc 9, 40.
151. II Cor 4, 17.
152. Cfr. I Cor 1, 31, II Cor 10, 17 (gr 9, 23-24).
153. Cfr. CELESTINO I. Ep. ad episcopos Galliae, c. 12 (PL
50, 536).
154. Gv 3, 2.
155. Cfr. I Cor 4, 3-4.
156. I Cor 4, 5.
157. Mt 16, 27; Rm 2, 6; Ap 22, 12.
158. Cfr. l'inizio del simbolo Atanasiano.
159. Cfr. Rm 5, 5.
160. Cfr. Mt 10, 22; 24, 13.
161. Cfr. Gv 3, 21.
162. Cfr. Gc 2, 26.
163. LEONE I, Ep 12, c. 1 (PL 54, 647). c. 5,
D. LXI (Fr 1, 228).
164. Cfr. c. 4, D. LIX; cc. 2 e 6, D. LXI (Fr 1, 226
seg., 229).
165 At 20, 28.
166. Cfr. II Tm 4, 5.
167. Cfr. Gv 10, 12.
168. Cfr. Ez 33, 6.
169. Cfr. cc. 20-26, C. VII, q. 1 (Fr 1, 576-577);
tutto il titolo 4 de cler. non resid.,
X. III (Fr 2, 460-464); c. un., III. in VI (Fr 2, 1019).
170. Cfr. c. 15, I, 3, in VI (Fr 2, 943).
171. Cfr. c. 34, I, 6, in VI (Fr 2, 964).