Concilio di Trento.

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I-VI sessione (1545-1547) VII-XI sessione (1547) XII-XVI sessione (1551-1552)
XVII-XXII sessione (1562-1563) XXIII-XXIV sessione (1563) XXV sessione (1563)

 

Concilio di Trento

25 sessioni dal 13 dicembre 1545 al 4 dicembre 1563 in tre periodi: I-VIII sessione a Trento 1545-47 (IX-XI sessione a Bologna 1547) tutte sotto Papa Paolo III (1534-1549); XII-XVI sessione a Trento 1551-52 sotto Papa Giulio III (1550-1555); XVII-XXV sessione a Trento sotto Papa Pio IV (1559-1565).
Dottrina sulla Scrittura e la tradizione, peccato originale e giustificazione, sacramenti e sacrificio della messa, culto dei Santi. Decreti di riforma.

I-VI sessione (1545-1547)

SESSIONE I (13 dicembre 1545)

(Decreto di inizio del concilio).

Reverendi Padri, credete opportuno, a lode e gloria della santa e indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, per l’incremento e l’esaltazione della fede e della religione cristiana, per l’estirpazione delle eresie, per la pace e l’unione della chiesa, per la riforma del clero e del popolo, per la repressione e l’estinzione dei nemici del nome cristiano, decretare e dichiarare aperto il sacro, generale concilio tridentino? [Risposero: sì].

(Indizione della futura sessione).

E poiché è già prossima la solennità della natività del signore nostro Gesù Cristo e seguiranno le altre festività del termine e dell’inizio dell’anno, credete bene che la prima futura sessione del concilio si debba tenere il giovedì dopo l’Epifania, che sarà il giorno 7 gennaio dell’anno del Signore I546? [Risposero: sì].

SESSIONE II (7 gennaio 1546)

(Decreto sul modo di vivere e su altre cose da osservarsi nel concilio).

Il sacrosanto concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, ben sapendo col beato Giacomo apostolo, che quanto di meglio ci vien dato ed ogni dono perfetto viene dall’alto, scendendo dal Padre dei lumi (1) - il quale a quelli che domandano la sapienza dà a tutti abbondantemente senza rimproveri (2) - ed anche che l’inizio della sapienza è il timore di Dio (3), ha stabilito che debbano esortarsi - ed esorta di fatto - tutti i fedeli cristiani raccolti nella città di Trento, perché vogliano correggersi del male e dei peccati finora commessi, e, nel futuro, camminare nel timore del Signore, e non seguire i desideri della carne (4), perché vogliano esser assidui alle orazioni, più spesso confessarsi e ricevere il sacramento dell’eucarestia, frequentare le chiese, mettere in pratica, per quanto ognuno lo potrà, i comandamenti di Dio e pregare ogni giorno, privatamente, per la pace dei principi cristiani e per l’unità della chiesa.

Quanto ai vescovi e a qualsiasi altro sacerdote che si trovi in questa città per la celebrazione del concilio ecumenico, li esorta a voler attendere assiduamente alle lodi di Dio, offrendo sacrifici, lodi, preghiere, celebrando il sacrificio della messa almeno ogni domenica, giorno nel quale il Signore creò la luce, risorse dai morti, ed effuse lo Spirito santo sui discepoli. Offrano, come lo stesso Spirito santo comanda per mezzo degli apostoli, suppliche, preghiere, richieste, rendimenti di grazie (5), per il santissimo nostro signore il papa, per l’imperatore, per i re, per tutti gli altri che sono costituiti in autorità e per tutti gli uomini, perché conduciamo una vita quieta e tranquilla (6), possiamo goder della pace e vedere l’espansione della fede.

Li esorta, inoltre, a voler digiunare almeno ogni venerdì, in memoria della passione del Signore e a far elemosine ai poveri.

Nella chiesa cattedrale sia celebrata, ogni giovedì, la messa dello Spirito santo, con le litanie e le altre preghiere stabilite a questo scopo. Nelle altre chiese vengano dette nello stesso giorno almeno le litanie e le orazioni. E durante il tempo delle funzioni sacre, non si chiacchieri e non si raccontino storie, ma si assista il celebrante con la bocca e col cuore.

E poiché bisogna che i vescovi siano irreprensibili, sobri, casti, bravi amministratori della loro casa (7), li esorta anche affinché prima di tutto ognuno conservi, a mensa, la sobrietà e la moderazione nei cibi; e poi, dato che in essa, di solito, si tengono discorsi oziosi, perché nelle mense dei vescovi si faccia sempre un po’ di lettura della Scrittura.

Ognuno istruisca e cerchi di educare i suoi familiari, perché sfuggano le risse, il vino, la disonestà, la cupidigia; perché non siano superbi, né bestemmiatori o amanti dei piaceri. Fuggano, finalmente, i vizi e abbraccino le virtù; nel modo di vestire e di ornarsi, ed in ogni loro altra azione si mostrino onesti, come si addice ai servi dei servi di Dio.

Inoltre, poiché la principale preoccupazione, sollecitudine, intenzione di questo sacrosanto concilio è che, - dissipate le tenebre delle eresie, che per tanti anni hanno imperversato sulla terra, - con l’aiuto di Gesù Cristo, luce vera (8), risplenda la luce, lo splendore, la purezza della verità cattolica, e sia riformato ciò che ne ha bisogno, lo stesso concilio esorta tutti i cattolici, convenuti o che converranno a Trento, e in modo particolare quelli che hanno una particolare conoscenza delle sacre scritture, perché vogliano seriamente riflettere per quali vie e con quali mezzi specialmente possa realizzarsi l’intenzione del concilio e sia conseguito l’effetto desiderato: una sollecita e consapevole condanna degli errori, la conferma delle cose degne di approvazione; così che per tutto il mondo tutti con una sola voce e con la confessione della stessa fede glorifichino Dio, Padre del signore nostro Gesù Cristo (9).

Nell’esporre, poi, le proprie opinioni - poiché i sacerdoti del Signore siedono nel luogo della benedizione - secondo quanto stabilisce il concilio Toletano (10), nessuno deve strepitare con espressioni smodate, o disturbare con tumulti; così come non deve far valere le sue idee con dispute false, vane, ostinate. Tutto ciò che viene detto, invece, sia moderato da una forma così mite, che né offenda chi ascolta, né offuschi, per lo sconvolgimento dell’animo, il sereno giudizio della mente.

Lo stesso santo concilio ha stabilito, inoltre, e decretato che, se durante il concilio qualcuno esercitasse un diritto che non gli spetta persino col voto e con la partecipazione alle congregazioni non ne deriverà pregiudizio per alcuno né acquisizione di diritti.

SESSIONE III (4 febbraio 1546)

Si accoglie il simbolo della fede cattolica.

Nel nome della Santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo. Questo sacrosanto e generale concilio ecumenico tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, considerando l’importanza degli argomenti da trattare, specie di quelli che sono compresi nei due capitoli della estirpazione delle eresie e della riforma dei costumi, per cui principalmente è stato radunato; ben comprendendo, con l’Apostolo, che esso non deve lottare con la carne e il sangue, ma contro gli esseri spirituali del male che abitano le regioni celesti (11), con lo stesso apostolo esorta, in primo luogo, tutti e singoli, perché siano forti nel Signore, e nella potenza della sua forza; imbracciando in ogni cosa lo scudo della fede, con cui possano estinguere tutti i dardi infuocati del malvagio (nemico), e prendano l’elmo della speranza della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (12).

Perché, quindi, questa sua materna sollecitudine abbia inizio e progredisca per la grazia di Dio, prima di tutto stabilisce e dispone di premettere la professione di fede. Esso segue, in ciò, l’esempio dei padri, i quali usarono opporre nei concili più venerandi questo scudo contro ogni eresia, all’inizio della loro attività; solo con esso condussero gli infedeli alla fede, espugnarono gli eretici, confermarono i fedeli. Ha creduto bene, quindi, che si professi il simbolo della fede in uso presso la santa chiesa Romana, come principio in cui tutti quelli che professano la fede di Cristo necessariamente convengono, e come fondamento fermo e unico, contro il quale le porte dell’inferno non prevarranno mai (13), con le esatte parole, con cui si legge in tutte le chiese. Eccone il testo: Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutti gli esseri, visibili e invisibili. Credo anche in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio, nato dal Padre prima di qualsiasi tempo, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consostanziale al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose. Per noi uomini e la nostra salvezza Egli è disceso dal cielo, si è incarnato dalla vergine Maria per opera dello Spirito santo, e si è fatto uomo. È stato anche crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, ha sofferto la passione ed è stato sepolto. È risuscitato il terzo giorno secondo le scritture, è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Verrà di nuovo nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito santo, signore e vivificante, che procede dal Padre e dal Figlio. Egli è adorato e glorificato insieme col Padre e col Figlio, ed ha parlato per bocca dei profeti. Credo una sola chiesa santa, cattolica e apostolica. Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati ed aspetto la resurrezione dei morti e la vita del tempo futuro. Amen.

Data della futura sessione.

Lo stesso sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, considerando che molti prelati si sono accinti al viaggio da diverse parti, che alcuni sono già in via per venire qui, e che tutto quello che dovrà esser deciso dallo stesso santo sinodo potrà incontrare presso tutti una stima ed un onore tanto più grandi, quanto più completa sarà l’assemblea e più numerosa la presenza dei padri che l’hanno sancito e rafforzato, ha stabilito e deciso che la sessione, successiva a questa sia celebrata il giovedì, che seguirà la prossima domenica Laetare.

In questo intervallo, tuttavia, non verrà sospesa la discussione e l’esame di quegli argomenti che sembrerà opportuno allo stesso sinodo discutere ed esaminare.

SESSIONE IV (8 aprile 1546)

Primo decreto: Si ricevono i libri sacri e le tradizioni apostoliche.

Il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dei medesimi tre legati della sede apostolica, ha sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi nella chiesa la stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo attraverso i profeti nelle scritture sante (l4), il signore nostro Gesù Cristo, figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni creatura (15) per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi.

E poiché il sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte - che raccolte dagli apostoli dalla bocca dello stesso Cristo e dagli stessi apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, tramandate quasi di mano in mano (16), sono giunte fino a noi, — seguendo l’esempio dei padri ortodossi, con uguale pietà e pari riverenza accoglie e venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, - Dio, infatti, è autore dell’uno e dell’altro ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella chiesa cattolica.

E perché nessuno possa dubitare quali siano i libri accettati dallo stesso sinodo come sacri, esso ha creduto opportuno aggiungere a questo decreto l’elenco.

Dell’antico Testamento: i cinque di Mosè, e cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth; i quattro dei Re; i due dei Paralipomeni; il primo e il secondo di Esdra (che è detto di Neemia); Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe; i Salmi di David; i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruch, Ezechiele, Daniele; i dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i due dei Maccabei, primo e secondo.

Del nuovo Testamento: i quattro Evangeli: secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, scritti dall’evangelista Luca; le quattordici Lettere dell’Apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, a Tito, a Filemone, agli Ebrei; due dell’apostolo Pietro, tre dell’apostolo Giovanni, una dell’apostolo Giacomo, una dell’apostolo Giuda, e l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni.

Se qualcuno, poi, non accetterà come sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro parti, come si è soliti leggerli nella chiesa cattolica e come si trovano nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà consapevolmente le predette tradizioni, sia anatema.

Sappiano quindi tutti, con quali argomenti lo stesso sinodo, posto il fondamento della confessione della fede, procederà, e soprattutto di quali testimonianze e difese si servirà nel confermare gli insegnamenti e nel riformare i costumi nella chiesa.

Secondo decreto: Si accetta l’edizione volgata della Bibbia e si prescrive il modo ai interpretare la sacra Scrittura ecc.

Lo stesso sacrosanto sinodo, considerando, inoltre, che la chiesa di Dio potrebbe ricavare non piccola utilità, se si sapesse quale, fra tutte le edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, debba essere ritenuta autentica, stabilisce e dichiara che questa stessa antica edizione volgata, approvata nella chiesa dall’uso di tanti secoli, si debba ritenere come autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione e che nessuno osi o presuma respingerla con qualsiasi pretesto.

Inoltre, per reprimere gli ingegni troppo saccenti, dichiara che nessuno, basandosi sulla propria saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che riguardano la dottrina cristiana, piegando la sacra Scrittura secondo i propri modi di vedere, osi interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e ritiene la santa madre chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai pubblicate. Chi contravvenisse sia denunciato dagli ordinari e punito secondo il diritto.

Ma, volendo anche com’è giusto, imporre un limite in questo campo agli editori, i quali, ormai, senza alcun criterio - credendo che sia loro lecito tutto quello che loro piace — stampano, senza il permesso dei superiori ecclesiastici, i libri della sacra scrittura con note e commenti di chiunque indifferentemente, spesso tacendo il nome dell’editore, spesso nascondendolo con uno pseudonimo, e - cosa ancor più grave, - senza il nome dell’autore, e pongono in vendita altrove, temerariamente, questi libri stampati, il concilio prescrive e stabilisce che, d’ora in poi la sacra scrittura - specialmente questa antica volgata edizione, sia stampata nel modo più corretto, e che nessuno possa stampare o far stampare libri di soggetto sacro senza il nome dell’autore né venderli in futuro o anche tenerli presso di sé, se prima non sono stati esaminati ed approvati dall’ordinario, sotto minaccia di scomunica e della multa stabilita dal canone dell’ultimo concilio Lateranense (17).

Se si trattasse di religiosi, oltre a questo esame e a questa approvazione, siano obbligati ad ottenere anche la licenza dei loro superiori, dopo che questi avranno esaminato i libri secondo le prescrizioni delle loro regole.

Chi comunica o diffonde per iscritto tali libri, senza che siano stati prima esaminati ed approvati, sia sottoposto alle stesse pene riservate agli stampatori. Quelli che li posseggono o li leggono, se non diranno il nome dell’autore, siano considerati come autori. L’approvazione di questi libri venga data per iscritto, e quindi sia posta sul frontespizio del libro, sia esso scritto a mano o stampato. L’approvazione e l’esame siano gratuiti, così che le cose da approvarsi siano approvate e siano riprovate quelle da riprovarsi.

Volendo infine reprimere il temerario uso, per cui parole e espressioni della sacra scrittura vengono adattate e contorte a significare cose profane, volgari, favolose, vane, adulazioni, detrazioni, superstizioni, incantesimi empi e diabolici, divinazioni, sortilegi, libelli diffamatori, il concilio comanda ed ordina per togliere di mezzo questo irriverente disprezzo, ed anche perché in avvenire nessuno osi servirsi, in qualsiasi modo, delle parole della sacra scrittura per indicare simili cose, che tutti i corruttori e violatori della parola di Dio, siano puniti dai vescovi secondo il diritto o la discrezione dei vescovi stessi.

Terzo decreto: Indizione della futura sessione.

Questo sacrosanto concilio stabilisce e comanda che la futura sessione debba esser celebrata il giovedì dopo la prossima santissima festa di Pentecoste.

SESSIONE V (I7 giugno 1546)

Decreto sul peccato originale.

Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è impossibile piacere a Dio (18), rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il popolo cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina (19) dal momento che l’antico, famoso serpente (20), sempre nemico del genere umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la chiesa di Dio in questi nostri tempi, ha suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del peccato originale e dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, volendo richiamare gli erranti e confermare gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre scritture, dei santi padri, dei concili più venerandi ed il giudizio e il consenso della chiesa stessa, stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul peccato originale.

1. Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitù di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio (21); e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema.

2. Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza; che perdette per sé soltanto, e non anche per noi, la santità e giustizia che aveva ricevuto da Dio; o che egli, inquinato dal peccato di disobbedienza, abbia trasmesso a tutto il genere umano solo la morte e le pene del corpo, e non invece anche il peccato, che è la morte dell’anima: sia anatema. Contraddice infatti all’apostolo, che afferma: Per mezzo di un sol uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte, e così la morte si trasmise a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono (22).

3. Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua origine, trasmesso con la generazione e non per imitazione, che aderisce a tutti, ed è proprio di ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura umana, o con altro mezzo, al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il signore nostro Gesù Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue (23), diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione (24); o nega che lo stesso merito di Gesù Cristo venga applicato sia agli adulti che ai bambini col sacramento del battesimo, rettamente conferito secondo il modo proprio della chiesa: sia anatema. Perché non esiste sotto il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvi (25). Da cui l’espressione: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo (26) e l’altra: Tutti voi che siete stati battezzati, vi siete rivestiti di Cristo (27).

4. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser battezzati, anche se figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi sono battezzati per la remissione dei peccati, ma che non contraggono da Adamo alcun peccato originale, che sia necessario purificare col lavacro della rigenerazione per conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma del battesimo per la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa sia anatema. Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice l’apostolo: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col peccato la morte, così la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli uomini hanno peccato (28), se non nel senso in cui la chiesa cattolica universale l’ha sempre inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione apostolica anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato, vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (29).

5. Chi nega che per la grazia del signore nostro Gesù Cristo, conferita nel battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se asserisce che tutto quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma solo cancellato o non imputato (30) sia anatema. In quelli infatti che sono rinati a nuova vita Dio non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione per coloro (31) che col battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte (32), i quali non camminano secondo la carne (33), ma spogliandosi dell’uomo vecchio e rivestendosi del nuovo (34), che è stato creato secondo Dio, sono diventati innocenti, immacolati, puri, senza macchia, figli cari a Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo (35); di modo che assolutamente nulla li trattiene dall’ingresso nel cielo.

Questo santo sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane la concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta, non può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, chi avrà combattuto secondo le regole, sarà coronato (36).

Il santo sinodo dichiara che mai la chiesa cattolica ha inteso che venga chiamato "peccato" la concupiscenza, qualche volta chiamata dall’apostolo peccato (37), per il fatto che nei rinati alla grazia non è un vero e proprio peccato, ma perché ha origine dal peccato e ad esso inclina. Chi pensasse il contrario sia anatema.

6. Questo santo sinodo dichiara tuttavia, che non è sua intenzione comprendere in questo decreto, dove si tratta del peccato originale, la beata ed immacolata vergine Maria, madre di Dio, ma che si debbano osservare a questo riguardo le costituzioni di papa Sisto IV (38), di felice memoria, sotto pena di incorrere nelle sanzioni in esse contenute che il sinodo rinnova.

Secondo decreto: Sulla lettura della s. scrittura e la predicazione.

1. Lo stesso sacrosanto sinodo, aderendo alle pie costituzioni dei sommi pontefici e dei concili approvati, le fa sue; e volendo completarle, perché non avvenga che il tesoro celeste dei libri sacri, che lo Spirito santo ha dato agli uomini con somma liberalità, rimanga trascurato, ha stabilito e ordinato che nelle chiese, in cui vi sia una prebenda o una dotazione, o uno stipendio comunque chiamato destinato ai lettori di sacra teologia, i vescovi, gli arcivescovi, i primati e gli altri ordinari locali obblighino, anche con la sottrazione dei frutti relativi, quelli che hanno questa prebenda, dotazione o stipendio, ad esporre e spiegare la sacra scrittura personalmente, se sono idonei, altrimenti per mezzo di un sostituto adatto, da scegliersi dai vescovi, dagli arcivescovi, dai primati e dagli altri ordinari stessi.

Per il futuro tale prebenda, dotazione o stipendio non dovrà esser conferito se non a persone adatte, che siano capaci di esplicare tale ufficio da se stessi. Ogni provvista fatta altrimenti sia nulla e invalida.

2. Nelle chiese metropolitane o cattedrali, se la città è importante e popolosa, ed anche nelle collegiate che si trovassero in un centro importante, - anche di nessuna diocesi, - purché vi sia numeroso clero, qualora non si trovi prebenda, dotazione o stipendio da destinare a questo scopo, si consideri ipso facto destinata per sempre a ciò la prima prebenda che in qualsiasi modo si renda vacante, salvo il caso di rinunzia e qualora vi sia annesso un altro onere incompatibile. Se non vi fosse in queste stesse chiese alcuna prebenda o fosse insufficiente, il metropolita o il vescovo stesso, con l’assegnazione dei frutti di un beneficio semplice (di cui però bisogna soddisfare gli oneri), o col contributo dei beneficiati della sua città e diocesi, o anche in altro modo, come si potrà fare più facilmente, col consiglio del capitolo provveda in maniera tale, che si abbia la lettura della sacra scrittura. Ciò però, avvenga in modo che qualsiasi altra lettura, istituita o consuetudinaria non sia, per questo motivo, omessa.

3. Quelle chiese i cui proventi annuali fossero limitati, o dove il clero e il popolo fosse tanto scarso, da non potersi tenere opportunamente la lezione di teologia, abbiano almeno un maestro, scelto dal vescovo col consiglio del capitolo, che insegni gratuitamente la grammatica ai chierici e agli altri scolari poveri, perché, con l’aiuto di Dio, possano poi passare agli studi della sacra scrittura. Il maestro di grammatica riceva i frutti di un beneficio semplice fino a che eserciterà tale ufficio senza che, tuttavia, il beneficio stesso sia distolto dal proprio scopo, o un adeguato compenso dalla mensa capitolare o vescovile o il vescovo stesso escogiti qualche altro mezzo adatto alla sua chiesa e diocesi, perché questa pia, utile e così fruttuosa disposizione, sotto qualsiasi pretesto, non venga trascurata.

4. Anche nei monasteri dove possa essere convenientemente realizzata, si tenga tale lettura della sacra scrittura. Se gli abati fossero negligenti, i vescovi quali delegati della sede apostolica, li costringano a farlo con i mezzi opportuni.

5. Nei conventi dei regolari, in cui gli studi possono essere facilmente coltivati la lezione di sacra scrittura abbia ugualmente luogo, essa sia assegnata dai capitoli generali o provinciali ai maestri più degni.

6. Anche nei ginnasi pubblici, dove questa lezione, più necessaria di tutte le altre non fosse stata ancora istituita, sia attivata dalla pietà e dalla carità dei religiosissimi principi e delle repubbliche, per la difesa e l’incremento della fede cattolica e per la conservazione e propagazione della sana dottrina. E dove fosse stata istituita ma fosse trascurata, la si rimetta in auge.

7. E perché sotto l’apparenza della pietà non venga diffusa l’empietà, lo stesso santo sinodo stabilisce che nessuno debba essere ammesso a tale ufficio di lettore, sia in pubblico che in privato, se prima non è stato esaminato dal vescovo del luogo circa la sua vita, i suoi costumi, la sua scienza, e approvato. Ciò, tuttavia, non si applica ai lettori dei monasteri.

8. Gli insegnanti di sacra scrittura, nel tempo in cui insegnano pubblicamente nelle scuole, e così pure gli studenti godano ed usufruiscano di tutti i privilegi concessi dal diritto di percepire i frutti delle loro prebende e dei loro benefici anche durante la loro assenza.

9. Poiché, tuttavia, alla società cristiana non è meno necessaria la predicazione del Vangelo, che la sua lettura, e questo è il principale ufficio dei vescovi (39), lo stesso santo sinodo ha stabilito e deciso che tutti i vescovi, arcivescovi, primati, e tutti gli altri prelati di chiese siano tenuti a predicare personalmente il santo Vangelo di Gesù Cristo se non ne sono legittimamente impediti.

10. Se i vescovi e le altre persone nominate fossero impedite da un legittimo motivo, siano tenuti, conformemente a quanto prescrive il concilio generale (40), a farsi sostituire da persone adatte per questo ufficio della predicazione. Se qualcuno trascurasse di adempiere ciò, sia sottoposto ad una pena severa.

11. Anche gli arcipreti, i pievani, e tutti coloro che abbiano cura d’anime nelle parrocchie o altrove, personalmente o per mezzo d’altri se ne fossero legittimamente impediti, almeno nelle domeniche e nelle feste più solenni, nutrano il popolo loro affidato con parole salutari, secondo la propria e la loro capacità, insegnando quelle verità che sono necessarie a tutti per la salvezza e facendo loro conoscere, con una spiegazione breve e facile, i vizi che devono fuggire e le virtù che devono praticare, per evitare la pena eterna e conseguire la gloria celeste.

Se poi qualcuno di loro fosse negligente anche se pretendesse di essere esente dalla giurisdizione del vescovo per qualsiasi motivo o anche se le chiese fossero ritenute in qualsiasi modo esenti, o forse annesse o unite a qualche monastero, situato magari fuori diocesi, purché in realtà si trovino nella diocesi, non manchi la provvidenziale sollecitudine dei vescovi, perché non debba avverarsi il detto: I piccoli chiesero il pane e non vi era chi lo spezzasse loro (41) Se però, pur ammoniti dal vescovo, per tre mesi mancassero al loro ufficio, vi siano costretti con le censure ecclesiastiche, o in altro modo secondo la decisione dello stesso vescovo. Se a lui sembrasse opportuno, potrà anche esser dato ad altri un onesto compenso sui frutti del beneficio perché compia questo dovere, fino a che il titolare si ravveda e adempia il suo dovere.

12. Nelle chiese parrocchiali soggette a monasteri non dipendenti da alcuna diocesi, qualora gli abati e i superiori dei religiosi fossero negligenti in ciò che abbiamo detto, vi siano costretti dai metropoliti, nelle cui province si trovano le stesse diocesi, i quali si considereranno, in questa occasione, delegati della sede apostolica.

Né valgano ad impedire l’esecuzione di qesto decreto la consuetudine, l’esenzione, l’appello o il reclamo, cioè il ricorso, fino a che il giudice competente, con procedimento sommario e tenendo solo conto della verità del fatto, non abbia esaminato e deciso l’argomento.

13. I religiosi di qualunque ordine, se non sono stati esaminati e approvati dai loro superiori circa la vita, i costumi e la scienza, e se non consta di questa loro licenza, non potranno predicare neppure nelle chiese dei loro ordini. Essi devono presentarsi con essa personalmente ai vescovi e chiedere la loro benedizione, prima di dare inizio alla predicazione (42).

14. I religiosi nelle chiese, che non appartengono al loro ordine, oltre alla licenza dei loro superiori, sono tenuti ad avere anche quella del vescovo; senza di essa, non potranno in nessun caso predicare nelle chiese che non sono del loro ordine (43). Questa licenza i vescovi la concedano gratuitamente.

15. Se un predicatore seminasse errori o scandali in mezzo al popolo, anche se predica in un monastero del proprio o di un altro ordine, il vescovo gli proibisca la predicazione. Se predicasse delle eresie proceda contro di lui secondo il diritto o l’uso del luogo, anche se il predicatore pretendesse di essere esente per un privilegio generale o speciale. In questo caso il vescovo proceda con autorità apostolica e come delegato della sede apostolica. I vescovi impediscano che un predicatore sia molestato per false informazioni o comunque calunniosamente, e che possa a giusto motivo di lamentarsi di essi.

16. I vescovi inoltre abbiano cura che nessuno dei regolari viva fuori del convento e dell’obbedienza del proprio ordine, o che un sacerdote secolare (a meno che sia loro noto e possano approvarne i costumi e la dottrina) predichi nella loro città o diocesi, anche col pretesto di qualsiasi privilegio, fino a quando dagli stessi vescovi non sia stata consultata a questo proposito la santa sede apostolica, da cui, a meno che non si sia taciuta la verità o non si sia detta una menzogna, è difficile che gli immeritevoli possano estorcere tali privilegi.

17. I raccoglitori di elemosine (44), che con espressione popolare, sono detti ‘questuantl’, di qualsiasi condizione essi siano, non presumano in nessun modo di poter predicare, sia personalmente, che per mezzo di altri. Chi facesse il contrario, ne sia assolutamente impedito con opportuni rimedi dai vescovi e dagli ordinari dei luoghi, non ostante qualsiasi privilegio.

Decreto di indizione della futura sessione.

Questo sacrosanto sinodo stabilisce e determina che la futura sessione si tenga e celebri il giovedì, feria quinta dopo la festa di S. Giacomo apostolo.

SESSIONE VI (13 gennaio I547)

Decreto sulla giustificazione

Proemio

In questi anni è stata divulgata con grave danno per molte anime e per l’unità della chiesa, una dottrina erronea sulla giustificazione. Perciò questo sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, riunito legittimamente nello Spirito santo, a lode e gloria di Dio onnipotente, per la tranquillità della chiesa e per la salvezza delle anime, sotto la presidenza dei reverendissimi signori Gianmaria del Monte, cardinale vescovo di Palestrina, Marcello Cervini, cardinale presbitero del titolo di S. Croce in Gerusalemme, cardinali della santa chiesa romana, e legati apostolici de latere, a nome del nostro santissimo padre in Cristo e signore Paolo III, per divina provvidenza papa, intende esporre a tutti i fedeli cristiani la vera e sana dottrina sulla giustificazione che Gesù Cristo, sole di giustizia (45), autore e perfezionatore della nostra fede (46), ha insegnato che gli apostoli hanno trasmesso e che la chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito santo, ha sempre ritenuto. E proibisce assolutamente che, d’ora innanzi, qualcuno osi credere, predicare e insegnare diversamente da quello che col presente decreto si stabilisce e si dichiara.

Capitolo I.

L’impotenza della natura e della legge a giustificare gli uomini.

Prima di tutto il santo sinodo dichiara che, per una

conoscenza esatta e corretta della dottrina della giustificazione, è necessario che ognuno riconosca e confessi che tutti gli uomini, perduta l’innocenza per la prevaricazione di Adamo, fatti immondi (47) e (come dice l’apostolo) per natura figli dell’ira (48), come ha esposto nel decreto sul peccato originale, erano talmente servi del peccato (49) e sotto il potere del diavolo e della morte, che non solo i gentili con le forze della natura, ma neppure i Giudei con l’osservanza della lettera della legge di Mosè potevano esserne liberati e risollevati, anche se in essi il libero arbitrio non era affatto estinto, ma solo attenuato e indebolito.

Capitolo II.

L’economia della salvezza e il mistero della venuta di Cristo.

Perciò il Padre celeste, padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione (50), quando giunse quella beata pienezza dei tempi (51), mandò agli uomini Gesù Cristo, suo figlio, annunciato e promesso, sia prima della legge, sia durante il tempo della legge da molti santi padri, affinché riscattasse i Giudei, che erano sotto la legge (52), e i gentili i quali non cercavano la giustizia, ottenessero la giustizia (53); e tutti ricevessero l’adozione di figli (54). Questo Dio ha posto quale propiziatore mediante la fede nel suo sangue (55), per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto l’universo (56).

Capitolo III.

Chi sono i giustificati da Gesù Cristo.

Ma benché egli sia risorto per tutti (57), tuttavia non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solo quelli cui viene comunicato il merito della sua passione.

Come infatti gli uomini, in concreto, se non nascessero dalla discendenza del seme di Adamo, non nascerebbero ingiusti, proprio perché con questa propagazione, quando vengono concepiti, contraggono da lui la propria ingiustizia: così se essi non rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai essere giustificati, proprio perché con quella rinascita viene attribuita loro, per il merito della sua passione la grazia per cui diventano giusti.

Per questo beneficio l’apostolo ci esorta a rendere sempre grazie al Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla eredità dei santi nella luce, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del Figlio del suo amore, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati (58).

Capitolo IV.

Descrizione della giustificazione dell’empio.

Suo modo sotto la grazia.

Queste parole indicano chiaramente che la giustificazione dell’empio è il passaggio dallo stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio (59), per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore. Questo passaggio, dopo la promulgazione del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il desiderio di esso, conformemente a quanto sta scritto: Se uno non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (60).

Capitolo V.

Necessità degli adulti di prepararsi alla giustificazione, e da dove essa scaturisce.

Dichiara ancora il concilio che negli adulti l’inizio della stessa giustificazione deve prender la mosse dalla grazia preveniente di Dio, per mezzo di Gesù Cristo, cioè della chiamata, che essi ricevono senza alcun loro merito, di modo che quelli che coi loro peccati si erano allontanati da Dio, disposti dalla sua grazia, che sollecita ed aiuta, ad orientarsi verso la loro giustificazione, accettando e cooperando liberamente alla stessa grazia, così che, toccando Dio il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, l’uomo non resti assolutamente inerte subendo quella ispirazione, che egli può anche respingere, né senza la grazia divina possa, con la sua libera volontà, rivolgersi alla giustizia dinanzi a Dio.

Perciò quando nelle sacre scritture si dice: Convertitevi a me, ed io mi rivolgerò a voi (61), si accenna alla nostra libertà e quando rispondiamo: Facci tornare, Signore, a te e noi ritorneremo (62), noi confessiamo di essere prevenuti dalla grazia di Dio.

Capitolo VI.

Il modo di prepararsi.

Gli uomini si dispongono alla stessa giustizia, quando, eccitati ed aiutati dalla grazia divina, ricevendo la fede mediante l’ascolto (63), Si volgono liberamente verso Dio, credendo vero ciò che è stato divinamente rivelato e promesso, e specialmente che l’empio viene giustificato da Dio col dono della sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù (64). Parimenti accade quando, riconoscendo di essere peccatori, scossi dal timore della divina giustizia passano a considerare la misericordia di Dio e sentono nascere in sé la speranza, confidando che Dio sarà loro propizio a causa del Cristo, e cominciano ad amarlo come fonte di ogni giustizia; e si rivolgono, quindi, contro il peccato con odio e detestazione, cioè con quella penitenza, che bisogna fare prima del battesimo; infine si propongono di ricevere il battesimo, di cominciare una nuova vita e di osservare i comandamenti divini.

Di questo atteggiamento sta scritto: È necessario che chiunque nascosta Dio, creda che egli esiste e che ricompensa quelli che lo cercano (65); e: Confida, figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati (66); come pure: Il timore del Signore scaccia il peccato (67); e: Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati e riceverete il dono dello Spirito santo (68); e: Andate dunque e istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato (69) Finalmente: Rivolgete al Signore i vostri cuori (70).

Capitolo VII.

Cosa è la giustificazione del peccatore e quali le sue cause.

A questa disposizione o preparazione segue la stessa giustificazione. Essa non è solo remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione volontaria della grazia e dei doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto, e da nemico amico, così da essere erede secondo la speranza della vita eterna (71).

Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia di Dio, che gratuitamente lava (72) e santifica, segnando ed ungendo (73) con lo Spirito della promessa, quello santo che è pegno della nostra eredità (74); causa meritoria è il suo dilettissimo unigenito e signore nostro Gesù Cristo, il quale, pur essendo noi suoi nemici (75), per l’infinito amore con cui ci ha amato (76), ci ha meritato la giustificazione con la sua santissima passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre. Causa strumentale è il sacramento del battesimo, che è il sacramento della fede (77), senza la quale a nessuno, mai, viene concessa la giustificazione. Finalmente, unica causa formale è la giustizia di Dio, non certo quella per cui egli è giusto, ma quella per cui ci rende giusti; con essa, cioè per suo dono, veniamo rinnovati interiormente nello spirito (78), e non solo veniamo considerati giusti, ma siamo chiamati tali e lo siamo di fatto (79), ricevendo in noi ciascuno la propria giustizia, nella misura in cui lo Spirito santo la distribuisce ai singoli come vuole (80) e secondo la disposizione e la cooperazione propria di ciascuno.

Quantunque infatti nessuno possa esser giusto, se non colui al quale vengono comunicati i menti della passione del signore nostro Gesù Cristo, ciò, tuttavia, in questa giustificazione del peccatore, si opera quando, per mento della stessa santissima passione, l’amore di Dio viene diffuso mediante lo Spirito santo nei cuori (81) di coloro che sono giustificati e inerisce loro. Per cui nella stessa giustificazione l’uomo, con la remissione dei peccati, riceve insieme tutti questi doni per mezzo di Gesù Cristo nel quale è innestato: la fede, la speranza e la carità. Infatti la fede, qualora non si aggiungano ad essa la speranza e la carità, non unisce perfettamente a Cristo né rende membra vive del suo corpo. Per questo motivo è assolutamente vero affermare che la fede senza le opere è morta ed inutile (82) e che in Cristo non valgono né la circoncisione, né la incirconcisione, ma la fede operante per mezzo della carità (83).

Questa fede, secondo la tradizione apostolica, chiedono i catecumeni alla chiesa prima del sacramento del battesimo quando chiedono la fede che dà la vita eterna, che la fede non può garantire senza la speranza e la carità. È per questo che essi ascoltano subito la parola di Cristo: Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti (84). Perciò a chi riceve lo vera giustizia cristiana, non appena rinato viene comandato di conservare candida e senza macchia la prima stola, donata loro da Gesù Cristo in luogo di quella che Adamo ha perso con la sua disobbedienza per sé e per noi. Essi dovranno portarla dinanzi al tribunale del signore nostro Gesù Cristo per avere la vita eterna (85).

Capitolo VIII.

Come si debba intendere che il peccatore è giustificato per la fede e gratuitamente.

Quando poi l’apostolo dice che l’uomo viene giustificato per la fede (86) e gratuitamente (87), queste parole si devono intendere secondo l’interpretazione accettata e manifestata dal concorde e permanente giudizio della chiesa cattolica e cioè che siamo giustificati mediante la fede, perché la fede è il principio dell’umana salvezza, il fondamento e la radice di ogni giustificazione, senza la quale è impossibile piacere a Dio (88), giungere alla comunione (89) che con lui hanno i suoi figli. Si dice poi che noi siamo giustificati gratuitamente, perché nulla di ciò che precede la giustificazione - sia la fede che le opere - merita la grazia della giustificazione, se infatti è per grazia, non è per le opere; o altrimenti (come dice lo stesso apostolo (90)) la grazia non sarebbe più grazia.

Capitolo IX.

Contro la vana fiducia degli eretici.

Quantunque sia necessario credere che i peccati non vengano rimessi, né siano stati mai rimessi, se non gratuitamente dalla divina misericordia a cagione del Cristo: deve dirsi, tuttavia, che a nessuno che ostenti fiducia e certezza della remissione dei propri peccati e che si abbandoni in essa soltanto, vengono rimessi o sono stati rimessi i peccati, mentre fra gli eretici e gli scismatici potrebbe esservi, anzi vi è, in questo nostro tempo, e viene predicata con grande accanimento contro la chiesa cattolica questa fiducia vana e lontana da ogni vera pietà.

Ma neppure si può affermare che sia necessario che coloro che sono stati realmente giustificati, debbano credere assolutamente e senza alcuna esitazione, dentro di sé, di essere giustificati; e che nessuno venga assolto dai peccati e giustificato, se non chi crede fermamente di essere assolto e giustificato e che l’assoluzione e la giustificazione sia operata per questa sola fede, quasi che chi non credesse ciò, dubiti delle promesse di Dio e dell’efficacia della morte e della resurrezione del Cristo.

Infatti come nessun uomo pio deve dubitare della misericordia di Dio, del merito del Cristo, del valore e dell’efficacia dei sacramenti, così ciascuno nel considerare se stesso, la propria debolezza e le sue cattive disposizioni, ha motivo di temere ed aver paura della sua grazia, non potendo alcuno sapere con certezza di fede, scevra di falso, se ha conseguito la grazia di Dio.

Capitolo X.

L’aumento della grazia ricevuta.

Gli uomini così giustificati e divenuti amici e familiari di Dio (91), progredendo di virtù in virtù (92), si rinnovano (come dice l’apostolo (93)) di giorno in giorno, mortificando, cioè, le membra del proprio corpo (94) e mostrandole come armi di giustizia per la santificazione (95), attraverso l’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa: nella stessa giustizia ricevuta per la grazia di Cristo, con la cooperazione della fede alle buone opere, essi crescono e vengono resi sempre più giusti, come è scritto: Chi è giusto, continui a compiere atti di giustizia (96), ed ancora: Non aspettare fino alla morte a giustificarti (97), e di nuovo: Voi dunque vedete che l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla fede soltanto (98). Questo aumento della giustizia chiede la santa chiesa quando prega: Dacci, o Signore, un aumento di fede, di speranza e di carità (99).

Capitolo XI.

Dell’osservanza dei comandamenti e della sua necessità e possibilità.

Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica (100), esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda l’impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi (101) e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi (102), il suo giogo è soave e il peso leggero (103).

Quelli infatti che sono figli di Dio, amano Cristo e quelli che lo amano (come dice lui stesso (104)) osservano le sue parole, cosa che con l’aiuto di Dio certamente possono fare. Quantunque infatti in questa vita mortale, per quanto santi e giusti, qualche volta essi cadono almeno in mancanze leggere e quotidiane, che si dicono anche veniali, non per questo cessano di essere giusti. Ed è propria dei giusti l’espressione, umile e verace: Rimetti a noi i nostri debiti (105).

Deriva da ciò, che gli stessi giusti debbano sentirsi tanto maggiormente obbligati a camminare per la via della giustizia, quanto più, liberi già dal peccato e fatti schiavi di Dio (106), vivendo con moderazione, giustizia e pietà (107), possono progredire per mezzo di Gesù Cristo, mediante il quale ebbero accesso a questa grazia (108). Dio infatti non abbandona con la sua grazia quelli che una volta ha giustificato, a meno che prima non sia abbandonato da essi (109).

Nessuno quindi deve cullarsi nella sola fede, credendo di essere stato costituito erede e di conseguire l’eredità per la sola fede, anche senza soffrire con Cristo per poi esser con lui glorificato (110). Cristo stesso, infatti, come dice l’apostolo, sebbene fosse Figlio, imparò, da ciò che sofferse, l’obbedienza; sicché reso perfetto, divenne principio di eterna salvezza per tutti quelli che gli obbediscono (111). Per questo lo stesso apostolo ammonisce quelli che sono stati giustificati, dicendo: Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Io dunque corro, ma non come chi è senza meta, faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato (112).

Ugualmente Pietro principe degli apostoli, dice: Adoperatevi sempre più per rendere sicura la vostra vocazione e la vostra elezione; poiché facendo questo voi mai peccherete (113).

Deriva da ciò, che sono in contrasto con la dottrina della vera religione quelli che dicono che il giusto pecca, almeno venialmente, in ogni opera buona (114); o (cosa ancora più insostenibile) che merita le pene eterne. E sono pure in contrasto quelli che sostengono che in tutte le opere buone i giusti peccano, se, eccitando in quelle la loro pigrizia ed esortando se stessi a correre nello stadio, insieme anzitutto con la gloria di Dio, essi guardano anche al premio eterno poiché sta scritto: Ho piegato il mio cuore ad osservare i tuoi precetti, per la ricompensa (115). E di Mosè l’apostolo (116) dice che tendeva alla ricompensa.

Capitolo XII.

Bisogna evitare la presunzione temeraria della predestinazione.

Nessuno, inoltre, fino che vivrà in questa condizione mortale, deve presumere talmente del mistero segreto della divina predestinazione, da ritenere per certo di essere senz’altro nel numero dei predestinati (117), quasi fosse vero che chi è stato giustificato o non possa davvero più peccare, o se anche peccasse, debba ripromettersi un sicuro ravvedimento. Infatti non si possono conoscere quelli che Dio si è scelti se non per una speciale rivelazione.

Capitolo XIII.

Del dono della perseveranza.

Similmente, per quanto riguarda il dono della perseveranza, di cui sta scritto: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo (118) (dono che non si può avere se non da chi ha tanta potenza da mantenere in piedi colui che già vi è (119), perché perseveri, e da riporvi colui che cade), nessuno si riprometta qualche cosa con assoluta certezza, quantunque tutti debbano nutrire e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio. Dio infatti se essi non vengono meno alla sua grazia, come ha cominciato un’opera buona, così la perfezionerà (120), suscitando il volere e l’operare (121).

Tuttavia quelli che credono di esser in piedi, guardino di non cadere (122), e lavorino per la propria salvezza con timore e tremore (123), nelle fatiche, nelle veglie, nelle elemosine, nelle preghiere e nelle offerte, nei digiuni e nella castità (124). Proprio perché sanno di essere rinati alla speranza della gloria (125), e non ancora alla gloria, devono temere per la battaglia che ancora rimane contro la carne, contro il mondo, contro il diavolo, nella quale non possono riuscire vincitori, se non si atterranno con la grazia di Dio, alle parole dell’apostolo: Noi siamo debitori, ma non verso la carne, da dovere vivere secondo la carne. Se vivete secondo la carne, morrete; se invece per mezzo dello Spirito fate morire le azioni del corpo, vivrete (126).

Capitolo XIV.

Di quelli che cadono e della loro riparazione.

Quelli poi che col peccato sono venuti meno alla grazia della giustificazione, potranno nuovamente essere giustificati, se procureranno, sotto l’ispirazione di Dio, di recuperare la grazia perduta attraverso il sacramento della penitenza, per merito del Cristo. Questo modo di essere giustificato consiste nella riparazione di colui che è caduto; quella riparazione che i santi padri chiamarono, con espressione adatta, la seconda tavola dopo il naufragio della grazia perduta (127). Infatti, per quelli che cadono in peccato dopo il battesimo, Gesù Cristo ha istituito il sacramento della penitenza, quando disse: Ricevete lo Spirito santo. A chi rimetterete i peccati saranno loro rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti (128).

Bisogna quindi, insegnare che la penitenza del cristiano dopo la caduta è di natura molto diversa da quella del battesimo e che essa comporta non solo la cessazione dai peccati e la loro detestazione, cioè un cuore contrito ed umiliato (129), ma anche la confessione sacramentale dei medesimi, almeno nel desiderio e da farsi a suo tempo e l’assoluzione del sacerdote; e così pure la soddisfazione col digiuno, con le elemosine, con le orazioni e con le altre pie pratiche della vita spirituale, non certo per la pena eterna, che è rimessa con la colpa mediante il sacramento o il desiderio del sacramento, ma per la pena temporale, che (come insegna la sacra scrittura) non sempre viene totalmente rimessa, come nel battesimo, a quelli che, ingrati verso la grazia di Dio, che hanno ricevuto, contristarono lo Spirito santo (130), ed osarono violare (131) il tempio del Signore.

Di questa penitenza sta scritto: Ricordati dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima (132). Ed inoltre: La tristezza che è secondo Dio, produce un pentimento salutare che non si rimpiange, perché conduce a salvezza (133). E di nuovo: Ravvedetevi (134); e: Fate degni frutti di penitenza (135).

Capitolo XV.

Con qualunque peccato mortale si perde la grazia, ma non la fede.

Contro le maligne insinuazioni di certi spiriti, i quali con parole dolci e seducenti ingannano i cuori dei semplici (136), bisogna affermare che non solo con l’infedeltà, per cui si perde la stessa fede, ma anche con qualsiasi altro peccato mortale, sebbene non si perda la fede, si perde però la grazia della giustificazione. Con ciò difendiamo l’insegnamento della legge divina, che esclude dal regno di Dio non soltanto gli infedeli, ma anche i fedeli impuri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi, maledici, rapaci e tutti gli altri che commettono peccati mortali, da cui con l’aiuto della grazia potrebbero astenersi (137) e a causa dei quali vengono separati dalla grazia del Cristo (138).

Capitolo XVI.

Del frutto della giustificazione, ossia del merito delle buone opere, e del modo ai questo merito.

Ora agli uomini giustificati in questo modo, sia che abbiano sempre conservato la grazia ricevuta, sia che, dopo averla perduta, l’abbiano recuperata si devono proporre le parole dell’apostolo: Abbondate in ogni opera buona, sapendo che il vostro lavoro nel Signore non è vano (139). Egli infatti non è ingiusto e non dimentica ciò che avete fatto, né l’amore che avete dimostrato per il suo nome (140). E: non abbandonate dunque la vostra fiducia, alla quale è riservata una grande ricompensa (141).

Perciò a quelli che operano bene fino alla fine (142) e sperano in Dio deve proporsi la vita eterna, sia come grazia promessa misericordiosamente ai figli di Dio per i meriti del Cristo Gesù, sia come ricompensa da darsi fedelmente, per la promessa di Dio stesso, alle loro opere buone e ai loro meriti. Questa è infatti quella corona di giustizia che, dopo la sua lotta e la sua corsa, l’apostolo diceva essere stata messa da parte per lui e che gli sarebbe stata data dal giusto giudice, e non a lui solo, ma anche a tutti quelli che amano la sua venuta (143).

Poiché infatti lo stesso Gesù Cristo, come il capo nelle membra e la vite nei tralci (144), trasfonde continuamente la sua virtù in quelli che sono giustificati, virtù che sempre precede, accompagna e segue le loro opere buone, e senza la quale non potrebbero in alcun modo piacere a Dio ed esser meritorie, si deve credere che niente altro manchi agli stessi giustificati, perché si dica che essi, con le opere che hanno compiuto in Dio (145), hanno pienamente soddisfatto alla legge divina, per quanto possibile in questa vita, e che hanno veramente meritato di ottenere a suo tempo la vita eterna (se tuttavia moriranno in grazia (146)). Dice, infatti, il Cristo, nostro Salvatore: Chi berrà l’acqua che gli darò io, non avrà più sete in eterno; ma l’acqua che gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua zampillante per la vita eterna (147).

In tal modo né si esalta la nostra giustizia come se provenisse proprio da noi (148), né si pone in ombra o si rifiuta la giustizia di Dio (149). Infatti quella giustizia che si dice nostra, perché inerente a noi ci giustifica, è quella stessa di Dio, perché ci viene infusa da Dio per i meriti del Cristo.

Né si deve trascurare che, quantunque nelle sacre Scritture si dia tanta importanza alle opere buone, che perfino a chi ha dato a uno dei suoi piccoli un bicchiere d’acqua fresca Cristo promette che non resterà senza ricompensa (150), e l’apostolo testimoni: la nostra presente tribolazione momentanea e leggera ci procura un incommensurabile e eterno cumulo di gloria (151), mai un cristiano deve confidare o gloriarsi di se stesso e non nel Signore (152), il quale è talmente buono verso tutti gli uomini, da volere che diventino loro meriti, quelli che sono suoi doni (153).

E poiché tutti pecchiamo in molte maniere (154), ciascuno deve avere dinanzi agli occhi con la misericordia e la bontà anche la severità e il giudizio, né alcuno deve giudicare se stesso, anche se non fosse consapevole di nessuna colpa (155) poiché tutta la vita degli uomini deve essere esaminata e giudicata non secondo il giudizio umano, ma secondo quello di Dio, il quale illuminerà i segreti Più occulti, e renderà manifesti i consigli dei cuori; e allora ciascuno avrà da Dio la sua lode (156); che, come sta scritto, renderà a ciascuno secondo le sue opere (157).

Dopo questa dottrina cattolica della giustificazione, - e nessuno potrà essere giustificato se non l’accetterà fedelmente e fermamente (158) -, è sembrato opportuno al santo sinodo aggiungere i seguenti canoni, perché ognuno sappia non solo quello che deve credere e seguire, ma anche quello che dovrà evitare e fuggire.

 

CANONI SULLA GIUSTIFICAZIONE

1. Se qualcuno afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia divina meritata da Gesù Cristo: sia anatema.

2. Se qualcuno afferma che la grazia divina meritata da Gesù Cristo viene data solo perché l’uomo possa più facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare l’una e l’altra cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.

3. Se qualcuno afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, può credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la grazia della giustificazione: sia anatema.

4. Se qualcuno dice che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto passivamente: sia anatema.

5. Se qualcuno afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema.

6. Se qualcuno afferma che non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.

7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di Dio, e che quanto più uno si sforza di disporsi alla grazia tanto più gravemente pecca: sia anatema.

8. Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema.

9. Se qualcuno afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.

10. Se qualcuno dice che gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la quale egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per essa: sia anatema.

11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo (159) e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.

12. Se qualcuno afferma che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia sola giustifica: sia anatema.

13. Chi afferma che per conseguire la remissione dei peccati è necessario che ogni uomo creda con certezza e senza alcuna esitazione della propria infermità e indisposizione, che i peccati gli sono rimessi: sia anatema.

14. Se qualcuno afferma che l’uomo è assolto dai peccati e giustificato per il fatto che egli crede con certezza di essere assolto e giustificato, o che nessuno è realmente giustificato, se non colui che crede di essere giustificato, e che l’assoluzione e la giustificazione venga operata per questa sola fede: sia anatema.

15. Se qualcuno afferma che l’uomo rinato e giustificato è tenuto per fede a credere di essere certamente nel numero dei predestinati: sia anatema.

16. Se qualcuno dice, con infallibile e assoluta certezza, che egli avrà certamente il grande dono della perseveranza finale (l60) (a meno che non sia venuto a conoscere ciò per una rivelazione speciale): sia anatema.

17. Se qualcuno afferma che la grazia della giustificazione viene concessa solo ai predestinati alla vita, e che tutti gli altri sono bensì chiamati, ma non ricevono la Grazia, in quanto predestinati al male per divino volere: sia anatema.

18. Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili ad osservarsi, sia anatema.

19. Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema.

20. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anatema.

21. Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema.

22. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato può perseverare nella giustizia ricevuta senza uno speciale aiuto di Dio, o non lo può nemmeno con esso: sia anatema.

23. Se qualcuno afferma che l’uomo, una volta giustificato, non può più peccare, né perdere la grazia, e che quindi chi cade e pecca, in realtà non mai è stato giustificato; o, al contrario, che si può per tutta la vita evitare ogni peccato, anche veniale, senza uno speciale privilegio di Dio, come la chiesa ritiene della beata Vergine: sia anatema.

24. Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata ed anche aumentata dinanzi a Dio con le opere buone, ma che queste sono solo frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa del suo aumento: sia anatema.

25. Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno venialmente, o (cosa ancor più intollerabile) mortalmente, e quindi merita le pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli imputa a dannazione quelle opere: sia anatema.

26. Se qualcuno afferma che i giusti non devono aspettare e sperare da Dio - per la sua misericordia e per tutti i meriti di Gesù Cristo - l’eterna ricompensa in premio delle buone opere che essi hanno compiuto in Dio (161), qualora, agendo bene ed osservando i divini comandamenti, abbiano perseverato fino alla fine: sia anatema.

27. Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può esser perduta con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia anatema.

28. Se qualcuno afferma che, perduta la grazia col peccato, si perde sempre insieme anche la fede, o che la fede che rimane non è vera fede, in quanto non è viva (162), o che colui che ha la fede senza la carità, non è cristiano: sia anatema.

29. Se qualcuno afferma che chi dopo il battesimo è caduto nel peccato non può risorgere con la grazia di Dio; o che può recuperare la grazia perduta, ma per la sola fede, senza il sacramento della penitenza, come la santa chiesa romana e universale, istruita da Cristo signore e dai suoi apostoli, ha finora creduto, osservato e insegnato: sia anatema.

30. Se qualcuno afferma che, dopo aver ricevuto la grazia della giustificazione, a qualsiasi peccatore pentito viene rimessa la colpa e cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimanga alcun debito di pena temporale da scontare sia in questo mondo sia nel futuro in purgatorio, prima che possa essergli aperto l’ingresso al regno dei cieli: sia anatema.

31. Se qualcuno afferma che colui che è giustificato pecca, quando opera bene in vista della eterna ricompensa: sia anatema.

32. Se qualcuno afferma che le opere buone dell’uomo giustificato sono doni di Dio, così da non essere anche meriti di colui che è giustificato, o che questi con le buone opere da lui compiute per la grazia di Dio e i meriti di Gesù Cristo (di cui è membro vivo), non merita realmente un aumento di grazia, la vita eterna e il conseguimento della stessa vita eterna (posto che muoia in grazia) ed anche l’aumento della gloria: sia anatema.

33. Se qualcuno afferma che con questa dottrina cattolica della giustificazione, espressa dal santo sinodo col presente decreto, si riduce in qualche modo la gloria di Dio o i meriti di Gesù Cristo nostro signore, e non piuttosto si manifesta la verità della nostra fede e infine la gloria di Dio e di Gesù Cristo: sia anatema.

 

Decreto sulla residenza dei vescovi e degli altri chierici inferiori

Capitolo I.

Lo stesso sacrosanto sinodo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, volendo accingersi a ristabilire la disciplina ecclesiastica assai rilassata e a correggere i corrotti costumi del clero e del popolo cristiano, ha creduto di incominciare da quelli che sono a capo delle chiese più importanti: "l’onesta di chi presiede, infatti, è la salvezza dei sudditi" (l63).

Confidando quindi che, per la misericordia del Signore e Dio nostro e per la provvida diligenza del vicario in terra dello stesso Dio, possa senz’altro avvenire che, secondo le venerande prescrizioni dei beati padri (164), al governo delle chiese (peso che gli angeli stessi temerebbero) vengano assunte persone assolutamente degne, la cui vita precedente in ogni loro età, dagli anni della fanciullezza a quelli più maturi, passata lodevolmente negli esercizi della disciplina ecclesiastica, renda loro testimonianza: questo santo Sinodo ammonisce e vuole che siano ammoniti tutti quelli che per qualsiasi motivo e titolo sono a capo di chiese patriarcali, primaziali, metropolitane e cattedrali, perché vegliando su sé stessi e su tutto il gregge sul quale lo Spirito santo li ha costituiti per pascere la chiesa del Signore, che egli si è acquistato col suo sangue (165), siano vigilanti, come comanda l’apostolo (166), lavorino con ogni zelo e assolvano il loro ministero.

Sappiano poi, che non potranno adempierlo in nessun modo se, come mercenari, abbandoneranno i greggi loro affidati (167), e non attenderanno alla custodia delle loro pecore, del cui sangue il giudice supremo chiederà conto alle loro mani (168). È certissimo infatti che non sarà accettata alcuna scusa per il pastore se il lupo ne divora le pecore e egli non se ne accorge.

E tuttavia, poiché in questo tempo si trovano molti (cosa davvero dolorosa) che, immemori anche della propria salvezza, anteponendo le cose terrene alle celesti e le umane alle divine, se ne vanno in giro per le corti, o (abbandonato il gregge e trascurata la custodia delle pecore loro affidate) sono immersi nella cura degli interessi temporali: è sembrato bene al sacrosanto concilio rinnovare gli antichi canoni (169) (che per effetto dei tempi e la trascuratezza degli uomini sono andati quasi in disuso) promulgati contro i non residenti, cosa che esso fa in virtù del presente decreto ed inoltre, per ottenere più efficacemente la residenza e la riforma dei costumi nella chiesa, decide di stabilire e sancire nel modo che segue:

Se qualcuno, cessando il legittimo impedimento o i giusti e ragionevoli motivi, dimorando fuori della sua diocesi per sei mesi continui sarà assente da una chiesa patriarcale, primaziale, metropolitana, o cattedrale, a lui affidata con qualsiasi titolo, causa, motivo, qualsiasi dignità, grado e preminenza egli abbia, ipso iure incorra nella pena di una quarta parte dei frutti di un anno, da destinarsi dal superiore ecclesiastico alla manutenzione della chiesa e ai poveri del luogo. Se poi l’assenza si prolunga per altri sei mesi, perda per ciò stesso un’altra quarta parte dei frutti da destinarsi allo stesso scopo. Prolungandosi la contumacia, perché essa sia assoggettata ad una più severa censura dei sacri canoni, il metropolita sia obbligato, entro tre mesi, a denunziare per lettera o per mezzo di un incaricato, al romano pontefice i vescovi suffraganei assenti; il suffraganeo più anziano residente sia obbligato a denunziare il metropolita assente: ciò sotto pena di interdetto dall’ingresso della chiesa, in cui si incorre ipso facto. Il romano pontefice, poi con l’autorità della sede suprema potrà prendere contro questi assenti i provvedimenti che la loro maggiore o minore contumacia richiede e provvedere alle stesse chiese con dei pastori più diligenti come giudicherà più conveniente e salutare nel Signore.

Capitolo II.

Quelli di dignità inferiore ai vescovi che abbiano in titolo o in commenda qualsiasi beneficio ecclesiastico, che richieda, per prescrizione del diritto o per consuetudine, la residenza personale, siano costretti dai loro ordinari con gli opportuni rimedi giuridici alla residenza (nel modo che a loro sembrerà opportuno, per il buon governo delle chiese e per l’aumento del culto divino, tenendo conto della qualità dei luoghi e delle persone) senza che qualcuno sia favorito da privilegi o indulti perpetui che concedano di non risiedere o di percepire i frutti durante l’assenza (170).

Gli indulti, tuttavia, e le dispense temporanee, solo se concessi per motivi veri e ragionevoli, che devono essere legittimamente dimostrati davanti all’ordinario rimarranno in vigore. In questi casi, però, sarà dovere dei vescovi (considerandosi in ciò legati della sede apostolica) provvedere perché con la nomina di vicari adatti e l’assegnazione di una giusta parte dei frutti, non venga trascurata (171) in nessun modo la cura delle anime, senza che alcuno possa esser favorito da questo privilegio o esenzione.

Capitolo III.

I prelati delle chiese attendano con prudenza e diligenza alla correzione delle mancanze dei loro sudditi e nessun chierico secolare, invocando un privilegio personale, o nessun religioso che viva fuori del monastero, anche col pretesto che il suo ordine ne abbia il privilegio, si creda sicuro se commettesse un fallo di non essere visitato, punito e corretto dall’ordinario del luogo (come delegato della sede apostolica) secondo le sanzioni canoniche.

Capitolo IV.

I capitoli cattedrali e delle altre chiese maggiori e le persone che li compongono per nessuna esenzione, consuetudine, sentenza, giuramento, accordo (che, del resto, obbligherebbero solo quelli che ne sono gli autori e non i successori) potranno credersi al sicuro dal poter essere visitati, corretti ed emendati, anche con autorità apostolica, dai loro vescovi e da altri prelati maggiori - da soli o con altri, come a loro sembrerà - secondo le sanzioni canoniche, tutte le volte che sembri loro opportuno.

Capitolo V.

A nessun vescovo sia lecito, col pretesto di qualsiasi privilegio, esercitare il proprio ufficio episcopale nella diocesi di un altro vescovo, senza espressa licenza dell’ordinario del luogo, e solo sulle persone soggette allo stesso ordinario; se agisse diversamente, il vescovo sia ipso iure sospeso dall’esercizio delle sue funzioni pontificali e quelli che sono stati ordinati, dall’esercizio del loro ministero.

Indizione della futura sessione.

Reverendissimi e reverendi padri, credete bene che la prossima futura sessione possa esser celebrata il giovedì, feria quinta dopo la prima domenica della prossima quaresima, che cadrà il giorno 3 di marzo? Risposero: sì.

Note

1. Gc 1. 17.
2. Gc 1. 5.
3. Sal 110, 10; Eccli (Sir) 1, 16; Pr 1, 7; 9, 10
4. Gal 5, 16; cfr. 1 Pt 2, 11.
5. 1 Tm 2, 1.
6. 1 Tm 2, 2.
7. 1 Tm 3, 2 e 4.
8. Cfr. Gv 1, 9.
9. Rm 15, 6.
10. Conc. Toletano XI (675), c. I (Msi 11, 137).
11. Ef 6, 12.
12. Ef 6, 10, 16. I7.
13. Mt 16, 18.
14. Cfr. Ger 31, 22 segg.; Is 53, 1; 55, 5; 61, 1 e altri.
15. Cfr. Mt 28, 19 e 20; Mr 16, 15 segg.
16. Cfr. II Ts 2, 14.
17. Conc. Lateranense V, sess. X (COD. 632-633).
18. Eb 11, 6.
19. Ef 4, 14.
20. Cfr. Ap 12, 9; 20, 2.
21. Eb 2, 14.
22. Rm 5, 12.
23. Cfr. Rm 5, 9-10.
24. 1 Cor 1, 30.
25. At 4, 12.
26. Gv 1, 29.
27. Gal 3, 27.
28. Rm 5, 12.
29. Gv 3, 5.
30. Cfr. AGOSTINO, Contra duas epistolas Pelagianorum I, 13 (26) (CSEL 60, 445).
31. Cfr. Rm 8, 1.
32. Cfr. Rm 6, 4.
33. Rm 8, 1 (solo nella vulgata).
34. Cfr. Col 3, 9-10; Ef 4, 24.
35. Rm 8, 17.
36. II Tm 2, 5.
37. Cfr. Rm 7, 14, I7, 20.
38. Cc. 1 e 2, III, 12, in Exstrav. comm. (Fr 2, 770); C. 12. D. XXXVII (Fr 1, 139).
39. Cfr. Statuta ecclesiae antiqua, c. 3 (Les Statuta ecclesiae antiqua, nuova ed. critica a cura di Ch. Munier, Paris, 1960, 79) che corrisponde al c. 6 DLXXXVIII (Fr 1, 307).
40. Conc. Lateranense IV, c. 10.
41. Lam 4, 4.
42. Cfr. Conc. Lateranense V, sess. XI (COD, 634-638).
43. Cfr. Conc. Lateranense IV, c. 3.
44. Cfr. Conc. Lateranense IV, c. 62; c. 11, V, 2, in VI (Fr 2, 1074); c. 2, V, 9, in Clem. (Fr. 2. 1190).
45. Cfr. Ml 3, 20 (4, 2, della Vulgata).
46. Cfr. Eb 12, 2.
47. Cfr. Is, 64, 6.
48. Ef 2, 3.
49. Cfr. Rm 6, 20.
50. II Cor 1, 3.
51. Cfr. Gal 4, 4.
52. Gal 4, 5.
53. Rm 9, 30.
54. Cfr. Gal 4, 5.
55. Rm 3, 25.
56. I Gv 2, 2.
57. II Cor 5, 15.
58. Col 1, 12-14
59. Cfr. Rm 8, 23.
60. Gv 3, 5.
61. Zc 1, 3.
62. Lm 5, 21.
63. Cfr. Rm 10, 17.
64. Rm 3, 24.
65. Eb 11, 6.
66. Mt 9, 2.
67. Ecli (Sir) 1, 27 (Vulgata), trad. it. 1, 21.
68. At 2, 38.
69. Mt 28, 19-20.
70. I Re 7, 3.
71. Tt 3, 7.
72. Cfr. I Cor 6, 11.
73. Cfr. II Cor 1, 21-22.
74. Ef 1, 13-14.
75. Cfr. Rm 5, 10.
76. Ef 2, 4.
77. Cfr. AGOSTINO, Ep. 98 ad Bonifatium, 9 (CSEL 34/2, 530 segg.).
78. Cfr. Ef 4, 23.
79. Cfr. I Gv 3, 1.
80. Cfr. I Cor 12, 11.
81. Cfr. Rm 5, 5.
82. Cfr. Gc 2, 17, 20.
83. Gal 5, 6.
84. Mt 19,17.
85. Cfr. Lc 15. 22; AGOSTINO, De genesi ad litt., VI. 27 (CSEL 28/1, 199); cfr. Rituale Romano per l'amministrazione del battesimo.
86. Cfr. Rm 3, 28 e altri.
87. Cfr. Rm 3, 24.
88. Eb 11, 6.
89. II Pt 1, 4.
90. Rm 11, 6.
91. Cfr. Ef 2, 19.
92. Sal 83, 8.
93. Cfr. II Cor 4, 16.
94. Cfr. Col 3, 5.
95. Cfr. Rm 6, 13 e 19.
96. Ap 22, 11.
97. Ecli (Sir) 18, 22.
98. Gc 2, 24.
99. Nella preghiera della XIII domenica tra l'anno.
100. Cfr. tra gli altri il Conc. Arausicano II (529) dopo il c. 25 (Msi 8, 717).
101. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 43 (50) (CSEL 60, 270).
l02. Cfr. I Gv 5, 3.
103. Cfr. Mt 11, 30.
104. Cfr. Gv 14, 23.
105. Mt 6, I2.
106. Rm 6, 22.
107. Tt 2, 12.
108. Cfr. Rm 5, 2.
109. Cfr. AGOSTINO, De natura et gratia, 26 (29) (CSEL 60, 254) e anche altre volte in altre opere di Agostino.
110. Cfr. Rm 8, 17.
111. Eb 5, 8 e 9.
112. I Cor 9, 24, 26-27.
113. II Pt 1, 10.
114. Cfr. Bolla Exurge Domine, art. 31 segg. (Dn 77I segg.).
115. Sal 118, 112.
116. Cfr. Eb 11, 26.
117. Cfr. AGOSTINO, De corrept. et gr., 15 (46) (PL 44, 944).
118. Mt 10, 22; 24, 13.
119. Cfr. Rm 14, 4.
120. Cfr. Fil 1, 6.
121. Cfr. Fil 2, 13.
122. Cfr. I Cor 10, 12.
123. Cfr. Fil 2, 12.
124. Cfr. II Cor 6, 5-6.
125. Cfr. I Pt 1, 3.
126. Rm 8, 12-13.
127. GEROLAMO. Ep 84, 6 e Ep 130, 9 (CSEL, 55, 128; 56, 189); TERTULLIANO, De Poenitentia, c. 7 segg. (PL 1, 1241 segg.).
128. Gv 20, 22-23; cfr. Mt 16, 19.
129. Sal 50, 19.
130. Cfr. Ef 4, 30.
131. Cfr. I Cor 3, 17.
132. Ap 2, 5.
133. II Cor 7, 10.
134. Mt 3, 2; 4, 17.
135. Lc 3, 8; Mt 3, 8.
136. Rm 16, 18.
137. Cfr. II Cor 12, 9; Fil 4, 13.
138. Cfr. I Cor 6. 9-10; I Tm 1, 9-10.
139. I Cor 15, 58.
140. Eb 6, 10.
141. Eb 10, 35.
142. Mt 10, 22.
143. Cfr. II Tm 4, 7-8.
144. Cfr. Gv 15, 1 segg.
145. Cfr. Gv 3, 21.
146 Cfr. Ap 14, 13.
147. Gv 4, 13-14.
148. Cfr. II Cor 3, 5.
149. Cfr. Rm 10, 3.
150. Cfr. Mt 10, 42; Mc 9, 40.
151. II Cor 4, 17.
152. Cfr. I Cor 1, 31, II Cor 10, 17 (gr 9, 23-24).
153. Cfr. CELESTINO I. Ep. ad episcopos Galliae, c. 12 (PL 50, 536).
154. Gv 3, 2.
155. Cfr. I Cor 4, 3-4.
156. I Cor 4, 5.
157. Mt 16, 27; Rm 2, 6; Ap 22, 12.
158. Cfr. l'inizio del simbolo Atanasiano.
159. Cfr. Rm 5, 5.
160. Cfr. Mt 10, 22; 24, 13.
161. Cfr. Gv 3, 21.
162. Cfr. Gc 2, 26.
163. LEONE I, Ep 12, c. 1 (PL 54, 647). c. 5, D. LXI (Fr 1, 228).
164. Cfr. c. 4, D. LIX; cc. 2 e 6, D. LXI (Fr 1, 226 seg., 229).
165 At 20, 28.
166. Cfr. II Tm 4, 5.
167. Cfr. Gv 10, 12.
168. Cfr. Ez 33, 6.
169. Cfr. cc. 20-26, C. VII, q. 1 (Fr 1, 576-577); tutto il titolo 4 de cler. non resid., X. III (Fr 2, 460-464); c. un., III. in VI (Fr 2, 1019).
170. Cfr. c. 15, I, 3, in VI (Fr 2, 943).
171. Cfr. c. 34, I, 6, in VI (Fr 2, 964).